Brusaschetto “Bruise A Shadow”, recensione

Non viene via lo sporco dentro

Dopo qualche tempo torno a parlare di Daniele Brusaschetto e lo faccio con interesse soggettivo, in quanto il mondo del musicista sabaudo mi ha da sempre persuaso, grazie ai suoi colori cupi, inquieti e coraggiosi.

Oggi la complessità emozionale dell’autore giunge a dare uno sguardo alle disturbanti sonorità che hanno popolato il mondo dei Voivod e dei Godflesh. Infatti, i dichiarati richiami alle sonorità reiterate, alienanti ed estraniate delle due storiche band sopraccitate, sembrano essere un punto di partenza per immergersi negli anfratti della tortuosa melanconia, qui persa tra i graffi pittorici di una cover art attrattiva e visionaria.

Il nero viaggio siderale di Brusaschetto ci porta immediatamente in un “Atroce dimensione” deformante, in cui i cambi direttivi, spinti da distorsioni chitarristiche, mostrano sin dalle prime battute riffing voivodiani, tranciati da deviazioni occludenti e oscure. Un sound aggressivo che trova spazi armonici calmieranti solo in The clan, funzionali all’implosione rabbiosa dell’inciso.

L’heavy sound prosegue poi con i dubbi esistenziali di The eternal perahaps of the who knows, in cui le pelli di Alberto “Mono” Marietta muovono un buon timing al quale si allinea lo splapping della quattro corde. L’album travolge e devasta, riuscendo così ad attrarre l’ascoltatore mediante sonorità oniriche che stupiscono anche attraverso l’uso della lingua italiana , proprio come accade Alla Luna, di certo tra le più interessanti tracce della set list.

Se poi con Petra, l’artista torinese si concede un breve divertissement, con Party music prima e Cool woods offre un mood in grado di portare l’astante verso un mondo altro, investendolo di spigolosi riff, cardini di una visione deformata della realtà.

L’albo, pubblicato da WormHole Death Records, trova la propria conclusione con la cadenzata andatura di Travaso di bile, traccia terminale in cui il mono-tono ricorda, se ancora ce ne fosse necessità, la buone dose di ironia che vive e traspare in un’opera che va solo a confermare la mia stima per un artista che è sempre un piacere raccontare.