Jan Garbarek Group Live, Roma, 28/6/2023

Estate a Roma significa, come e forse più di altre città, un trionfo di eventi serali da lasciare zero sere libere a chi abbia un po’ di curiosità -nonché la disponibilità economica necessaria ad uscire tutte le sere… 0vabbè, altra storia-. Anche solo restando in ambito musicale i festival si incrociano in serate spesso sovrapposte di grandi concerti. Insomma, c’è da divertirsi davvero.

Garbarek, un pezzo di storia del jazz europeo

il 28/6 a Roma è arrivato Jan Garbarek. Per chi non abbia sobbalzi anche solo emotivi a leggere il nome parliamo di un assoluto riferimento del jazz europeo a partire dagli anni settanta, quando con la ECM, per la quale da sempre registra, sono usciti a decine episodi sonori di un percorso artistico gigantesco, lungo il quale,spesso proprio grazie a questa label, l’Europa stessa ha via via sviluppato una peculiare caratterizzazione nella musica radicata nel jazz, di improvvisazione e non.

Garbarek ha saputo imprimere lungo la strada impronte importanti (per certi versi seminali) pur non essendo un innovatore o un virtuoso nel senso più pieno dei termini. Ha suonato in progetti profondamente diversi lungo questi decenni, dagli ensemble con Keith Jarrett ai gruppi con intenti “etnici”, da esperimenti più marcatamente improvvisativi a contaminazioni con l’India, il repertorio vocale dei secoli passati, l’elettronica meditativa, le melodie elegiache quasi al confine con la New Age… insomma, pescare a campione nella sua discografia “per farsi un’idea” non è iniziativa sensata; occorre capire prima cosa si sta per ascoltare.

Il luogo

Alla serata romana sono accorsi in tanti, come si immaginava. Prato pienissimo e gente in piedi oltre la capienza a sedere della Casa del Jazz, location con una bella storia di trasformazioni e rinascite. Passare una sera qui in musica d’Estate, tra pini, siepi e luci, è una meraviglia. Stupisce un po’ che all’annesso ristorante venga lasciata possibilità di una musica di sottofondo che, pur a volume molto basso, non ha alcuna ragione di esistere durante un concerto. Davvero inspiegabile.
Una piccola prentesi riguardante il pubblico va aperta per la crescente incapacità delle persone a restare concentrati su un evento lungo la sua durata; l’atmosfera estiva donerà pure leggerezza, non si dubita, ma questo fumarsi addosso che spinge ad alzarsi ogni tot, praticato da ben più di qualcuno, è roba che andrebbe trattata. Non qui, tranquilli.

Il concerto

Il gruppo aveva un solo membro storico, il pianista e tastierista tedesco Rainer Brüninghaus, che ne fa parte da trent’anni. Il bassista brasiliano Yuri Daniel è stato una bella sorpresa per chi non lo conoscesse, mentre il percussionista indiano Trilok Gurtu è ormai più una star che una sorpresa.

Garbarek è al centro, con Daniel alle sue spalle, mentre da lati opposti tastiere e strumenti percussivi si guardano. Questo set in un certo senso costituisce uno degli elementi del concerto: per ciascuno ci sono momenti in solitaria, di cui parleremo più avanti, ma la centralità armonica e melodica è affidata per l’intero set a sax e basso, solidi e centrati, con Brüninghaus meno presente e per certi versi meno “contestualizzato” nel suo accompagnare, e con Gurtu a colmare di colori, forme e sostanze una musica efficace e suggestiva come se la aspettavano in tanti.

Si ascolta una musica che è una delle tante direzioni prese dal termine fusion, che a fine anni settanta significava più o meno qualcosa ma che nel tempo ha ampliato il suo spettro e, per un ascoltatore attento a scansare gli esercizi di stile prodotti in gran copia sul genere, ha portato respiri più larghi nel jazz. Qui si sono inseguiti momenti di centralità melodica, improvvisazioni cercate e trovate nell’interazione sul palco, influenze mediorientali non macchiettistiche, virtuosismi riservati ai momenti di assolo in cui magari avevano più senso ed una maggior coralità quando si è trattato di tenere la musicalità nel ruolo di protagonista.

Per esser chiari con chi non conosca particolarmente la discografia di Garbarek -gli altri invece già avran capito dal tipo di gruppo sul palco- l’ambito in cui ci si è mossi musicalmente è, in senso proprio, quello del JAn Garbarek Group degli anni che vanno da fine ottanta a qualche tempo fa, lascinado quindi altrove (e magari, chissà, a nuovi passaggi in Italia) le avventure più sperimentali o quelle più marcatamente jazz, o anche le improvvisazioni con l’Hilliard Ensemble).

I musicisti

Certamente la sezione ritmica ha fatto molto, perché il basso corposo e morbido di Daniel e lo straordinario caleidoscopio percussivo di Gurtu (che davvero non stancherà mai un singolo ascolto) sono tappeto, pavimento e pareti straordinari per quel sax riconoscibile alle primissime note, unico da decenni, evocativo, largo, lungo, pungente, talvolta glaciale, voce per centinaia di racconti che hanno materialmente segnato alcuni passi di un certo tipo di musica.

Quel che invece ha stupito un po’ è proprio Brüninghaus, che invece per vari motivi ci si aspettava come il più coerente con la musica che sarebbe stata proposta, quello storicamente più sulla stessa strada. Invece, per ragioni non del tutto chiare allo scrivente -forse l’età?- rispetto al gruppo e al set sono mancati sintonia emotiva, livello tecnico (la sezione ritmica è stata in effetti, come detto, davvero notevole), precisione ed anche un po’ di eleganza, con una sezione in solitudine caratterizzata da una distanza dal resto del concerto raramente rilevata in quasi quarant’anni di live a cui lo scrivente ha assistito.

E… Garbarek? Del suo suono e della monumentale presenza di quel timbro abbiamo già detto. Complicato attendersi elementi inediti da uno che a 76 anni ha suonato un mare di cose diverse e ora è in giro col suo gruppo a raccontare una storia, senza che gli si chieda di inventare un futuro che già in alcune parti dovremo a lui. Infatti, per esser chiari, elementi nuovi non ce ne sono stati; chi è venuto al concerto sapeva bene perché lo faceva e, in questo senso, è stato certamente accontentato da un artiata che non sta più sperimentando strade mai percorse ma che sa suonare in modo autentico.

Il bis? Questo.

Ci tornerei anche domani?
Ci tornerei anche domani.