Folkatomic: il mondo libero, mescolando tradizioni, trasportandole nel tempo

Niente di nuovo sotto al sole moderno delle nuove cose ma di sicuro parliamo di un lavoro decisamente interessante se non forse il più interessante per quanto riguarda i miei ultimi ascolti. Ovviamente parliamo di dischi italiani perché già ad oltrepassare le alpi di progetti concorrenziali a questo ne troviamo dai tempi dei tempi… ma non è questo il punto. La contaminazione assume toni totalitari e attorno a questa parola c’è anche il rischio di stravolgere ritualità che alla forma hanno anche concesso la custodia di un significato e di una morale.

E la forma, in un disco come “Polaris”, è la prima cosa che viene stravolta in nome del progresso e del futuro traghettando il dialogo concettuale del disco dalla storia e dalle liriche popolane al gusto estetico, alle nuove frontiere che la forma stessa riesce ad avere oggi con i nuovi suoni. Sono i Folkatomik, anime e musici che mescolano il freddo tecnologico del nord alle tinture solari di antichi canti del sud… solo a volerli citare testualmente: tamburi a cornice, tamburelli, percussioni arabe, latine e africane. Chitarre portoghesi, très cubano, charango, bouzouki greco e mandolino, flauti arabi, turchi, irlandesi e andini, friscaletti siciliani e flauti armonici, marranzani e percussioni minori.

E l’elettronica fa degno corredo, colora e arrangia, incide la ritmica e ne determina le dinamiche. Non stravolge le melodia portata a spalla dal canto che i nostri si spalleggiano… non stravolge la morale e il significato ma colora con forza di design matematico calcolato a dovere. Un disco dentro cui la pizzica e la tarantella (tanto per citar cose conosciute) divengono portatori sani anche di bit industriali, pattern e dialoghi, dove queste tradizioni perdono il loro habitat temporale e diventano figlie di ogni epoca.