REJECTO: l’illusione della normalità indotta

Direi che un titolo del genere è perfetto per fotografare (in superficie s’intenda) la politica poetica della lirica firmata da Rejecto in questo primo lavoro dal titolo “Prima, durante e… Dopo?”.
Artista che resta nell’anonimato, senza volto, senza foto, portato a spalla soltanto da un logo… e la vita quotidiana di questa apocalisse che viviamo, che in prima persona lo ha graffiato, anzi lo ha sfinito ai fianchi, non è stata capace di oscurare la sua rabbia che diviene metrica rap su basi digitali di matrice hip-hop, per quanto più volte cercano deriva indie-rock per niente banali. La pandemia, il covid, la politica e i tanti retroscena della cattiva informazione… un complottista forse o più semplicemente un artista che, dal suo potere critico fa alzare un grido in 4/4 su spianate metropolitane di periferia. Rejecto in questo disco lancia dardi infuocati mantecati con il gusto sbarazzino del rap che in alcuni lineamenti sa giocare anche con scanzonata bellezza, monotona, strascinata con quell’accento campano che fa gioco come in “Vecchi amici nuovi nemici”… sa impreziosire anche con soluzioni di inciso accattivanti nella bellissima “Lezioni di economia”, canzone che forse prima di altre arriva al cuore del suo messaggio. Ed è inevitabile restare tutti incastrati dentro una denuncia spirituale, personale e verso se stessi prima ancora che verso il mondo che vive oltre la porta di casa… casa che la pubblica istanza ci porta a detestare, almeno questo passa dalle dottrine comunitarie di oggi: sto parlando del singolo “Lockdown, odio casa mia!” arricchito in rete anche da un video ufficiale, brano in cui davvero non esistono buone vie di uscita per la salvezza se non quella della resa o della rivoluzione. Il bivio è netto.
“Prima, durante e… Dopo?” è un disco che dividerà la critica, disco di scissione, disco che più della matrice estetica e sonora, sarà per la lirica custodita in questi 14 inediti a portarsi dietro vecchi amici o nuovi nemici. Che sia condivisibile o meno, ci piace sentire che dall’arte si torna ad avere una posizione netta dentro le pieghe del quotidiano che stiamo vivendo. Dischi come questo in qualche modo ci riportano ai quei favolosi anni ’70, anni di contestazione, anni di “Musica ribelle”.