Mario Bonanno “Io se fossi Dio”, recensione

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Ai sopravissuti alle lobotomie di massa

Dopo qualche settimana torniamo ad occuparci dell’arte scrittoria di Mario Bonanno, questa volta alle prese con il teatro canzone di Giorgio Gaber, scomodo artista che da sempre invita (volente o nolente) alla riflessione, non solo durante il periodo della contestazione vera e propria, ma anche e soprattutto in periodi in cui i sogni vengono assassinati dagli eventi.

Il libro, edito da Stampa Alternativa-Nuovi Equilibri, ad un primo sguardo sembra volersi ergere come analisi monografica su Io Se fossi Dio, mitologico singolo (13 minuti pensato per il fu 12 pollici) che La Carosello e la Dischi Ricordi si rifiutarono di pubblicare a causa di un testo “scomodo”, che non mancò di far piovere sul Signor G un vero e proprio tsunami di critiche.

Le 119 pagine di questa opera sembrano voler riesumare lo storico brano del 1980, togliendone la polvere che lo ricopre da lustri, per poterlo vivere con gli occhi e le orecchie di oggi, attraverso un analisi testuale accurata ed approfondita, che non mancherà di sorprendere per il suo approccio musicale così minimale, definito come reale pretesto per una critica spietato verso tutto e tutti. Una nera e nichilistica ballata spiegata da Bonanno proprio come una summa del Teatro Canzone, un manifesto di sdegno politico ed un monologo listato a lutto, proprio come la sua nera copertina.
Rabbia e lucida interpretazione al servizio di un brano da leggere con la necessaria attenzione evocativa, atta a trasferire la giusta riflessione attraverso testimonianze dirette ed interviste (Sergio Saviane, Sandro Luporini e Sergio Farina), pronte a narrare di un Italia ferma ad allora (Cannibali, necrofili, deamicisiani e astuti, e si direbbe proprio compiaciuti! Voi vi buttate su disatro umano, col gusto della lacrima in primo piano).

Un libro scritto e pensato per poter avvicinare il pubblico ad uno dei più interessanti cantautori che l’Italia abbia avuto.