Sex Pistols – Serie TV Danny Boyle

God save the queen
The fascist regime
They made you a moron
A potential H bomb

Per una volta ho deciso di lasciare il mondo dei vinili e dei cd per occuparmi di televisione. Infatti questa volta il mio sguardo ha voluto posarsi su Pistols, l’attesissima serie tv firmata da Danny Boyle. Proposta da Disney+, l’opera, sviluppata su sei episodi, come qualcuno ricorderà, è stata anticipata dalle (inevitabili) polemiche avanzate dal Johnny Rotten che, senza mezze parole, ha definito la serie “una merda irrispettosa”. Una querelle frizzante, che ha funzionato da involontario endorsement per una produzione piuttosto interessante, capace di raccontare la storia della “grande truffa del rock’n’roll”.

Ispirato a Lonely Boy: tales from a Sex pistols, scritto da Steve Jones, la miniserie incentra la narrazione proprio sul chitarrista inglese, attorno al quale va a strutturarsi un plot avvolgente e a tratti fedele alla realtà tramandata da Jon Savage nella sua straordinaria bibliografia. Sviluppata in maniera credibile, la narrazione presenta la nascita del Punk a chi sa poco e nulla di quella seconda decade degli anni ’70, ricordando al contempo a coloro i quali hanno indossato spille da balia, lucchetti e magliette controverse le dinamiche irripetibili di un mondo nuovo; un mondo nato dalle fucine di Sex, il celebre negozio di abbigliamento di King’s Road, gestito dalla folle creatività di Vivienne Westwood e Malcom McLaren. Proprio attorno alla boutique di Chelsea ruotano le vicende di Pistols, raccontate attraverso personaggi riusciti come Chrissie Hynde interpretata dalla bellissima Sydney Chandler, Louis Partridge, nei difficili panni di Sid Vicious e Thomas Brodie-Sangster, immerso nell’egocentrismo di McLaren. Lo studio dei personaggi, che ne dica il buon John Lyndon, mi è apparsa piuttosto curata, soprattutto per quanto riguarda i personaggi di Rotten, Jordan e Vivienne Westwood “coverizzati” in maniera sorprendente.

Le vicende della serie ideata da Craig Pearce, partendo dall’infanzia alquanto problematica di Jones, giungono sino al rapido declino dei Sex Pistols, schiacciati dall’autodistruzione calcolata dal loro Deus ex Machina, che nulla fece per salvare un’idea ancora viva; tanto è vero che, nonostante la profezia del No future, pronta ad auto-adempiersi, quella breve parentesi londinese ha creato in maniera demiurgica un mondo vivo ancora oggi. Infatti, da quella scintilla esplosa dietro la rossa porta di Denmark Street, oggi, guardandoci indietro, possiamo osservare un vero e proprio movimento culturale anticonformista, rivoluzionario, anarchico e (ahimè) autodistruttivo, in grado di attraversare decadi e confini.

Basandosi proprio sull’ampio spettro socio antropologico, Boyle riporta la sua arte al servizio della televisione on demand, costruendo una narrazione accartocciata e spezzata, in grado di definire i singoli personaggi, mostrandone sentimenti e fantasmi, similmente a quanto riuscì a fare per la trasposizione cinematografica di Trainspotting. Definito da un montaggio veloce, vivace e semplicemente Punk, il girato è proposto in maniera inusuale in quattro terzi, quasi a voler invitare lo spettatore a vivere in allora, anche grazie allo straordinario lavoro di ricerca fatto da production designer e costumisti.

Pertanto nessun dubbio nel voler consigliare Pistols, sia a chi è nato e vissuto tra “oscenità e furore”, sia a chi del Punk sa poco e nulla.

Ah dimenticavo! Se potete… guardatelo in lingua originale, entrerete nei sobborghi di Londra senza neppure accorgervene.