A Head Full Of Dreams – Coldplay – recensione cd

Cd cover

Come scrissi nella recensione del penultimo album dei Coldplay (“Ghost stories”), pensavo che Chris Martin e soci, con Mylo Xyloto, avessero ormai toccato il fondo e avevo dato loro poche chance di riemergere dalla palude nella quale si erano impantanati. Fortunatamente proprio il suo successore, mi aveva fatto ricredere, perché avevano ritrovato la vena giusta e le canzoni, molto intime, erano quasi tutte degne di nota. Ammetto però, viste le premesse, che prima di ascoltare questo nuovo progetto intitolato “Head full of dreams”, temevo fortemente una loro ricaduta nella mediocrità. Ed invece, udite udite, i ragazzi hanno finito col pubblicare un piccolo gioiellino che, pur allontanandoli ormai definitivamente dal mondo del rock, resterà a mio avviso nella loro discografia come una delle migliori prove. Agli amanti di Lp storici come “Parachutes” e “A rush of blood to the head” (che probabilmente mi vorrebbero lapidare, dopo aver letto questo mio giudizio così categorico), credo di dovere quanto meno una spiegazione, più approfondita. Al riguardo parto dall’idea che ogni band abbia il sacrosanto diritto di cambiare stile a proprio piacimento e che la valutazione della musica pubblicata spetti a noi ascoltatori, magari il più possibile liberati dalle aspettative, o peggio ancora da pregiudizi di tipo personale (ricordo ad esempio molti odiare il Michael Jackson artista, solo per via delle sue infinite manie e lo trovo alquanto incredibile).

Ora, “A head full of dreams” è sicuramente pieno di “ganci” melodici da classifica ed è pieno zeppo di sintetizzatori, ma questo non può essere sufficiente a considerarlo un album di secondo piano, anzi. In altre parole: le melodie ci sono tutte e sono fantastiche, la musica potrà essere considerata commerciale, ma emoziona eccome e quindi se ci si trova di fronte ad un album in cui si fa fatica a indovinare il prossimo singolo per il numero elevato di potenziali hit….beh allora tanto di cappello.

“Adventure of a lifetime” (per me un capolavoro pop di rara bellezza) ad esempio, col suo approccio danzereccio e col suo ritmo frenetico, sa smuovere le corde giuste dell’anima, così come a loro modo la stessa title track o la più pacata “Fun”. Ma poi c’è la ballatona “Everglow” che è una sorta di marchio di fabbrica della band inglese, richiamando il loro passato glorioso, e soprattutto la coda con “Up and up” (e qui la chitarra elettrica è finalmente in primo piano) che sa spiazzare per il suo “crescendo estetico”. Sicuramente la band inglese poteva anche evitarsi “finti pezzi” ipersperimentali come “Kaleidoscope” e “Colour spectrum”, che non solo risultano innocui, ma forse addirittura fastidiosi. Tuttavia tutto ciò che li circonda è talmente di alto livello che non riescono a far deviare il giudizio generale sul disco, che resta ottimo.

Insomma a chi non ha pregiudizi sul tipo di strumenti utilizzati (leggasi “elettronica”) per trasmettere qualcosa al mondo tramite la musica, consiglio di non farsi suggestionare da nessuna voce (ovviamente neanche da questa recensione) e ascoltare per intero la nuova prova dei Coldplay, per giudicare di persona. Non credo che se ne pentirà, ma in caso contrario sono pronto a ricevere qualche lancio di pomodoro virtuale.