Afr Combo”Mojid”, recensione

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Osservando i colori della cover art e analizzando i rimandi africans del monicker, mi sarei aspettato un’opera legata alle radici della world music…ed invece, fortunatamente (dico fortunatamente perché, soggettivamente parlando, mal sopporto quel tipo di sonorità), mi ritrovo di fronte ad un opera originale, in cui il jazz va ad occupare l’atrio principale di una ragionata setlist. Infatti, quest’ultima fatica del quartetto udinese, promosso da Music Force, “raccoglie come una spugna dai bassifondi metropolitani di viaggi ed esperienze, i ritmi e gli echi di una musica senza confini di genere, ben amalgamati da una scrittura e progettazione più colta.”

Il progetto, proposto in un lucido digipack, sembra voler inseguire un’oculata visionarietà espressiva, in cui la nostra quotidianità viene narrata da suoni posti ai bordi dell’easy listening, qui pronti ad aprirsi ad un’avvolgente armonia, legata da un sottile fil rouge a venature blues e rimandi più arcigni.

Il disco trova il suo battesimo tra le toniche di Rokia, in cui lievi sonorità iberiche giocano a cambiare direzione seguendo la linea descrittoria della trama di Mirko Cisilino, qui pronto a lasciare la scena alla sei corde per poi ritrovare il palcoscenico con la brevità minuziosa di In Fila.
L’album strumentale si offre, sin da subito, ad un attentivo ascolto attraverso la pacatezza libera e liberatoria di Paesaggio, poeticità leggiadra che viene declinata verso la spensieratezza sixty di Detto al mare. La composizione giocosa e sorridente ci conduce poi verso un suono pizzicato di Mojid, durante la quale le pelli di Marco Orlando offrono un tappeto evocativo in grado di trovare la via per l’inquieta forma di Barca a vela . La composizione, probabilmente annoverabile tra le più interessanti, regala un’arte jazz di stile, in cui rumori e metafore soniche appaiono perfette nel definire i contorni di un impeccabile contrabbasso, sul quale costruire visioni filmiche ricche di citazioni stilistiche sui generis.

A chiudere il breve album sono gli inattesi strappi in levare di Ferrage, una curiosa sincrasi di ska-jazz, e il corpo sonoro di Bulga Bulga, in cui il contrapporsi delle note alte e le intuizioni di Roberto Amadeo portano l’ascoltatore verso il finale colorato di un disco che cerca di trascendere da strutture visive …ma non dirò di più, perché questo disco merita un ascolto interessato e una visione soggettiva in grado di donare sfumature ulteriori.

Tracklist:
1. Rokia
2. In fila
3. Paesaggio
4. Detto al mare
5. L’oracolo
6. Majid
7. Barca a vela
8. Ferrage
9. Bulga bulga