Amycanbe “Wolf”, recensione

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Vi basterà ascoltare una traccia…una traccia a caso, e non avrete dubbi sul fatto che questa ultima fatica dei Amycanbe sia un album straordinario, almeno per chi di alternative ed indie vive e sopravvive.

Wolf (o forse il preferibile Flow) è il titolo della terza uscita della band cervense, pronta ad affrontare il proprio sentiero altronico-post-indie, raccolto attorno a strutture sonore affascinanti e seducenti, poste attorno a dolci sensazioni di leggerezza nuvolare, e a stupori altronici, avviluppati attorno alla delicatezza vocale di Francesca Amati, inconsueta e sorprendente vocalità dalle tinte interposte tra il nord desertico e l’indie d’oltreoceano.

Un mondo raccontato con accortezza e magicità sin dalle prime note di Grano, atto d’apertura ai venti onirici di I pay, traccia che concretizza le flebili sensazioni Cat Power. Un sognante habitat sonoro pacato e leggero, in cui tenue colore del drum set si accosta a note armoniche, poste al servizio dell’emotività visionaria proposta dal quartetto.

L’impostazione di questo Lupo sonoro non dimentica però accortezze elettroniche, filtri e sintesi sonore, da cui fioriscono silenzi, minimalismo estetico (Fighting) e diluizioni, pronte a rasentare un lounge di facile impatto (Febbraio), posto tra echi e back voices. Strutturazioni seducenti che tornano inquiete sulla bass line di Wolves, traghettatore sonico verso aperture rassicuranti ed estese.

Tra le tracce più interessanti sembra emergere Queens, battito cardiaco emotivo, in cui l’impronta easy racchiude il senso del disco nella sua totalità (An intimate yourney throught our life). Un viaggio osservativo e pacato, ma al contempo affacciato ad un abbraccio diretto e coerente con le sue eco derivative.
A chiudere il platter è l’estensione sonora di Orata, che a dispetto del non proprio accattivante titolo invita l’ascoltatore a chiudere il proprio mondo all’interno di confini post rock, che non solo valgono da soli l’intero prezzo, ma infondono la voglia, o forse la necessità, di tornare a ritroso verso le note di un disco palindromo.

Un’opera straordinaria per i suoi ricchi arrangiamenti vocali e per la sua strutturazione senza tempo.