Asylum – Disturded. Recensione

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“Asylum”, ovvero manicomio. Un titolo forte ed immediato, che sembra in qualche modo rimandare al passato dei Disturbed.Infatti, questa loro quinta fatica era un po’ attesa al varco, per poter fungere da metro di giudizio definitivo per il quartetto di Chicago.

Sì, perché in seguito al loro terzo full lenght (Ten thousand fists) la band aveva preso una decisione radicale per la loro carriera: sarebbero stati loro stessi a produrre i loro seguenti lavori. Una decisione che poteva rivelarsi da geni… o da manicomio. Di sicuro però, avrebbe influenzato non poco i successivi lavori dei Disturbed. Ed il successivo LP (Indestructible) ne era stata una prova lampante. Un sound in linea con l’evoluzione della band, ma in cui sicuramente si sentiva la mancanza di una produzione di qualità che desse maggior risalto a delle tracce veramente poco convincenti, al punto che il disco risultava a tratti davvero scadente, quasi fatto con gli scarti delle idee azzeccate degli anni passati.

Tuttavia, non ci si poteva aspettare più di tanto, essendo loro alle “prime armi” in tale campo e, soprattutto, senza un produttore che potesse raffinare le loro idee grezze. Bisognava insomma avere pazienza ed aspettare il secondo album autoprodotto, che avrebbe dato indicazioni più certe sul livello di maturità della band.

E dunque, ora ci siamo: “Asylum”, la prova del nove. Dopo un’intro lenta ed avvolgente, seppur magari non così cupa come ci si potrebbe aspettare date le premesse quali il titolo del platter e la copertina da brivido, parte subito il singolo già da tempo presentato come anteprima del disco, la titletrack.
Un pezzo che fin dalle prime note conferma il sound raggiunto in questi anni dai Disturbed, ormai più tendente all’Heavy Metal che al Nu degli anni d’esordio, con ritmiche cadenzate e potenti, accompagnate dalla splendida voce di David, roca al punto giusto, ma capace di grandi pezzi melodici. Per non parlare degli ormai caratteristici “HA!”, da attribuire quasi più a The Guy, la celeberrima mascotte della band di Chicago, che al cantante stesso. Insomma un pezzo brillante, degno di essere annoverato tra i loro grandi successi. Bisogna però essere cauti perché anche nell’album precedente era cominciato tutto bene per poi perdersi nell’inferno delle filler songs. Tuttavia, le cose procedono bene. Anche le tracce successive mostrano l’ottima consapevolezza dei loro mezzi che i Disturbed hanno raggiunto in questi ultimi anni.

Infatti si trovano eccellenti connubi musicali uniti a ritmiche senz’altro orecchiabili, ma mai banali. Assolutamente degni di nota sono poi i testi, tutti molto sentiti in quanto principalmente autobiografici, come la stessa band ha confermato in numerose interviste. Da segnalare in particolare le lyrics di “Another way to die”, una canzone di protesta contro i cambiamenti climatici (immagini molto forti quelle del video del singolo) e “My child”, in cui il cantante racconta della gravidanza di una sua ex che poi perse il bambino.

A mano a mano che il disco procede questa piacevole sensazione che il lavoro fili liscio non viene delusa, anche se immancabilmente alcuni pezzi hanno quella scintilla vitale in meno che le penalizza. E così, da “Another way to die” si avverte un calo di intensità per un paio di pezzi, e proprio quando si crede di trovarsi di fronte ad un cd speculare al precedente, ecco che arrivano “Serpentine” e le ultime tracce a scacciare i timori. Non certo allo stesso livello dei primi venti minuti di “Indestructible, ma comunque molto meglio rispetto alle tracce finali”, assolutamente prive di spina dorsale e di mordente.

Arrivati alla fine perciò non si può non notare che i quattro “disturbati” hanno fatti diversi passi avanti, non solo da quel lontano 1996, ma soprattutto dal loro primo lavoro autoprodotto. Senza ombra di dubbio la succitata mancanza di una “guida professionista” continua a sentirsi, ma è altrettanto vero che proprio quest’assenza ha permesso alla band di esprimersi più liberamente e tirare fuori delle canzoni magari meno orecchiabili (almeno a tratti), ma mille volte più sentite e vere. Insomma, la loro coraggiosa decisione li ha portati a produrre un “Asylum” assolutamente apprezzabile e godibile, con magnifiche atmosfere e testi toccanti e profondi. Un manicomio di pura potenza per tutto il popolo del metal (e non, visto il piazzamento alla posizione numero 1 nella settimana di debutto in America!), e di sicuro, non il luogo dove gli ascoltatori consiglieranno loro di andare dopo l’ascolto.