Book of Job “Hamartia”, recensione

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Con Book of Job si intende l’antico libro della bibbia ebraica in cui si narrano le meditazioni di Giobbe, patriarca idumeo che è arrivato ad elucubrare in maniera critica sul perché Dio permetta il male all’uomo giusto. Una complessa concettualità teologica che va a rappresentare l’incoerenza tra il giusto che patisce senza colpa e il malvagio che invece prospera. Proprio questo confusivo dolore e questa impossibilità di soluzione sembrano essere ferma allegoria della cover art di Rhys James, in cui il faro illumina un mondo talvolta surreale. Un alternarsi di sensazioni che trovano nel hardcore di Hamartia un contenitore di piacevolezza espressiva che, pur allontanandosi dalla tipica banalità di un certo tipo di metalcore, rimane ancorato ad alcuni inevitabili cliché. Nonostante le ineluttabili sbavature peculiari di un debut, la band di Leeds raccoglie le energie necessarie per sfornare un album di buon impatto, in cui il concetto di giusto e malefico sembrano ritornare in un atteso alternarsi sonoro, pronto a trovare nella sezione ritmica le sue essenziali fondamenta.

La costruzione narrativa di Hamartia ha inizio proprio con la titletrack che, attraverso un dolce arpeggio, ci invita a seguire un cadenzato riff, pugno sonoro che funge da preavviso alla maturazione di una traccia verso un chiaro HC style. Nonostante sensazioni Selfless il brano si accartoccia attorno ad una voce urlata, sofferente e rabbiosa, da cui trapela un’istintuale voglia narrativa. Una scarica nervosa che, attraversa una dissolvenza introduce il metalcore di 3 hours, puntello sonico del grind drum di Of Libra and Scorpio, la cui profondità di suono rende meno evidenti le invasive utilizzazioni del back voice.

Con Pursuing the cosmos, le note che rientrano in un territorio parzialmente calmierante, i suoni si avvolgono, infatti, in un ossessivo arpeggio inondato da una parziale e anticipatoria scarica elettrica. Una traccia che per certi versi sembra ricordare l’approccio linguistico del primo Jonnny Rotten e del sua volontaria deformazione parziale della pronuncia, qui rivisitata dal frontman pronto ad appoggiarsi a schizzoindi interludi dall’anima sporca (Trought the king) e rallentamenti concettuali (Feeding the universe)
A chiudere l’album è forse il brano migliore del full lenght Anagnorisis, da cui sembra uscire un piacevole sdoppiamento, che trova accorto parallelismo nel dialogo espositivo di rabbia e lucidità, dicotomico valore impreziosito da un thrash antraxiano che porta l’Hc dei Book of Job verso i giusti lidi

Track list :

1 Hamartia
2 3 Hours
3 Of Libra and Scorpio
4 Pursuing the Cosmos
5 Lost in Utopia
6 Father Cult
7 Madness is Murder
8 Feeding The Universe
9 Anagnorisis