Celeb car Crash “Ambush!”, recensione

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Ambush tradotto dall’inglese significa imboscata, termine usato per indicare un attacco da posizione strategica; un assalto improvviso che, come la sonorità dei Celeb Car Crash, giunge a noi improvvisa e diretta, al servizio di un’aggressione sonora che sarà ben accolta da chi ama il rock nella sua estensione radicata e profonda.

Un rock al servizio di sviluppi post grunge e riff massicci, che portano il quartetto parmense ad un’opera sorprendente che di certo non possiede i lineamenti di un esordio. Qui non si balbetta di certo e le indecisioni sono davvero poche, inversamente proporzionali alle idee e alla capacità ferma di metterle in atto, in una rincorsa verso sonorità rafforzate da un retroterra che trova i semi negli anni ’90. Infatti, questo ottimo esordio promosso dalla Red Cat promotion e targato Antstreet records, offre un varco lucidato da aperture sonore dirette (Something wrong about him) per le quali si instaura immediatamente un legame con l’ascoltatore, trascinato su viatici blandamente VolBeat evidenziati da aperture fortemente post grunge, proprio come dimostrano l’introduttiva Dead poets society, il cui intro cripto maideniano matura su di una linea di cantato Weilandiana. All’atto iniziatico si allinea poi la splendida Blinded by the light, i cui giochi in slide aprono a sensazioni alternative, al servizio di un brano cadenzato per il quale appare impossibile l’ascolto fermo. Il collo inizia da ondulare in un dolce headbanging ed il piede batte seguendo la struttura Soundgarden di un brano che coinvolge e rivisita in maniera efficace le strutture sonore precedenti.

Con Celeb Car Crash la band prosegue il giusto viatico con blandi cambi sonori, in grado di mantenere la carica sonica su buoni livelli; le chitarre in battere accompagnate da un drum set ordinato e forse poco deciso nell’osare, assestano il groove espressivo in maniera estemporanea e semplificata, proprio come accade con Tied up. La sei corde in gentile battere, si unisce ad una convincente spazio ritmico su cui si appoggia la vocalità di Nicola Briganti, reale valore aggiunto alla band. Gli spazi espressivi si avviluppano in maniera fluida su di un chorus che, delimita cambiamenti di toni e rimanda all’armonia di base, per una tra le tracce più convincenti, nonostante alcuni colori espressivi perfettibili.

La compiutezza esecutiva di Something wrong about you si bilancia alla costruzione meno convincente di Dorothy, per poi passare attraverso alla coverizzazione di I am the walrus, rivisitazione della traccia beatlesiana del Magic Mistery tour, che probabilmente farà storcere il naso a molti, a causa della sua deformante forza espressiva, che va a calmierarsi sull’acustica anima di Bushido. Il brano terminale apre la sua partitura con un insolita quanto piacevole attrattiva sonora, che porta dopo pochi istanti alla sua naturale evoluzione verso sonorità più rabbiose tipiche di una band dall’avvenire certo e chiaro.