Chupascabras “Inciviltà”, recensione

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Tre indizi fanno una prova

La prima cosa che mi ha colpito di questo disco, nuova release della Sg records, è il nome della band, in quanto qualche anno fa mi ero appassionato, grazie ad un episodio della serie Dexter alla leggenda dei succhiatori di capre, leggendari animali dell’inconscio d’oltreoceano. La seconda cosa che mi ha colpito di questa Inciviltà è il prezioso e curato workart di Frederick Volante, specchio grafico metaforico di una società corrotta e deceduta sotto i colpi della burocrazia sociale.
Il terza elemento capace di stimolare la mia attenzione (e qui chiudo la ripetizione) è stato scoprire che questa band, originaria dell’imperiese ligure, offre una buona fornitura di metalcore diretto e sanguinolento proprio come il misterioso canide.

Il disco si sviluppa tra la Rabbia e la voracità di coloro i quali possiedo ancora la voglia indefessa di combattere con l’idioma. Non a caso appare consona agli intenti la decisione di esprimersi in veste italiana, senza per questo perdere di efficacia espositiva, attraverso una sorta di crossover convincente.

Ad aprire le danze è proprio Inciviltà, brano che destabilizza con il suo breve intro rumoristico-spaziale, tra sampler e sviluppi inusuali, che, dopo pochi istanti, vengono spazzati via dalla vocalità rude e cruda di Met. La voce portante del frontman unisce le sue convincenti linee di cantato con i granitici e potenti riff, che lasciano spazio a sviluppi individuali semplici, ma al contempo funzionali alla narrazione. Le ritmiche si innalzano poi all’area speed-trash con uno dei brani più convincenti Incubo catodico, deflagrante nella sua brevità. Ottimi gli stop and go e i passaggi diversificati, nonché la struttura proposta dalla sei corde di Federico. Un cenno necessario al lavoro occulto del basso che, pur aiutato dall’energia sprigionato dalle pelli, a tratti sembra voler osare troppo poco.

Si passa poi alla distorsione rock di Rabbia, brano scontato e poco sviluppato, figlio di una rabbia parzialmente espressa che si differenzia dal buon groove emergente di Affuoco, traccia anti-Imperiese in cui il riff heavy si deposita nell’esplosione compositiva della band, che a tratti mi sembra ricordare l’idrofobia de Un quarto morto.

Inciviltà appare un disco intenso che, anche se offre momenti meno convincenti come Appesi ad un filo, regala all’ascolto una serie di buone intuizioni, come le corde iniziali di All’inferno prezioso incipit programmatico della detonazione sonica del suo corpo. A chiudere il full lenght ci pensa poi l’accoppiata stranita composta dalla violentissima e veloce God of war e Rabbia vol II magnifico ossimoro di chiusura.

Insomma…un disco da comprare, un disco da ascoltare, un disco da leggere.