CISCO: l’ascolto spirituale di “Indiani e Cowboy”

Disco di confine potremmo chiamarlo, disco di transizione o di emigrazione. Oppure può darsi che sta bene definirlo anche un disco di origini e di antiche passioni. Insomma questo “Indiani e Cowboy” di CISCO sembra avere tutte le caratteristiche di un lavoro che culla le derive di un percorso che, almeno questa volta, sembra venire rivoluzionato. Sia chiaro: sempre con molto stile e con molta coerenza… di certo questo non è un disco pop o di rap. Ma è un disco americano per un artista che ha sempre sposato l’Irlanda e tutte le sue contaminazioni al contorno. Questo è un disco pensato e voluto posizionare in America, ad Austin, un lavoro che vede la magistrale produzione di Rick Del Castillo che tra le tante cose lo ritroviamo spesso a firmare le produzioni sonore dei film pulp di Robert Rodrigruez. Dunque il tema non poteva che essere forte ed è attualissimo: la metafora degli indiani e dei cowboy, la metafora delle trincee come anche i confini, le separazioni, le distanze… i muri e le discriminazioni. Il popolo quotidiano ma anche l’amministrazione, i colletti bianchi, il baffone (che personalmente mi viene da figurarlo come “Lo sceriffo”)…

“Indiani e Cowboy” è anche la splendida consapevolezza che diviene – a suo modo – emancipazione, quando Cisco celebra la bellezza di ritrovare per la via “L’erba cattiva” (di cui il video ufficiale a seguire) o la forza di credere in se stessi (altra chiave di lettura che mi viene da dare a “Non in mio nome”, forse uno dei brani più pungenti per questa attualità in cui ci troviamo ad affrontare un nuovo concetto di emigrazione).

Ma è anche vero che in “Indiani e Cowboy” si rispettano anche le origini e al suono un po’ rock’n’roll, un po’ rocckabilly, un po’ tex mex, c’è anche la delicatissima “Bianca” in cui Cisco si fa riconoscere in tutto e per tutto, persino in quel dialetto modenese che grazie a lui ormai associamo alle tradizioni irlandesi.

Il nuovo disco di Cisco è una preghiera partigiana di pace e di condivisione. Una bellissima produzione che troviamo incisa anche su vinile 33 giri. Ed è delicatissima ma allo stesso tempo decisa e personale questa nuova via di fuga dai cliché che, come ogni cosa, contribuiscono alla morte culturale delle cose.