Cosimo Bianciardi e intima psicotensione “I.P.T.”, recensione

L’album di esordio per una band rappresenta un rito di passaggio essenziale che può disegnare nuove prospettive professionali, in grado di confermare o meno le aspettative che ognuno di noi ha nel proprio cassetto. Pertanto recensire un esordio è da sempre cosa difficile e delicata, perché l’osannare o il deflagrare può avere una lama troppo tagliente.

Chi solitamente bazzica tra le pagine di Music on TNT, però, sa che difficilmente ci occupiamo di distruggere. Ciò che recensiamo è ciò che ci appare degno di essere analizzato…ma sappiate che questa nuova release  di Suburban Sky Records in realtà non mi è piaciuta… almeno sino al momento in cui ho iniziato ad ascoltarla.

(Addirittura) Inizialmente ho avuto la tentazione di accantonare il disco, non solo a causa di un monicker poco accattivante e difficile da ricordare, ma anche per una cover Art anonima (… avevo altri aggettivi, ma tutti mi sembravano troppo forti per essere usati) e un booklet disorientante dal punto di vista stilistico: font poco leggibile, foto session minuscole e scelta di colori e allineamenti incoerenti.

 

Ci sarà, come al solito, qualcuno che, storcendo il naso, starà pensando che, in fondo, l’importante è la musica. Cazzate! Vi basterà pensare all’importanza dell’aspetto iconico di band come Iron Maiden, Kiss e Cypress Hill. Insomma, non venite a dirmi che la cover art e la cura dei particolari estetici ha meno importanza della musica, perché non lo accetterei di buon grado.

 

 

A proposito di musica, però, Cosimo Bianciardi e intima psicotensione si mostrano abili nel ricamare una sonorità di buona fattura, definita da tecnica espressiva, idee sonore e tratti neorealisti, immersi all’interno di cromatismi rock, su cui si innestano riuscite venature jazz e prog. Il percorso iniziatico del quartetto sembra definirsi attorno alla ragionata e ben bilanciata alternanza emozionale, qui sospinta dai tasti bianconeri e dall’innovativo (o meglio ritrovato) uso della stereofonia.  La cantautoriale aurea di Mi sento un meccanismo complicato dà un’ immediata conferma di quanto l’intimismo narrativo abbia un notevole peso specifico all’interno di un’opera, di certo ricca di sfumature progressive e armonizzazioni avvolgenti (Bersaglio).

Tra i migliori passaggi del disco sento il dovere intellettuale di citare i movimenti espressivi de L’uomo obliquo, in cui la tromba di Stefano Baldacci offre una via narrativa aggiunta, pronta ad aprire lo sguardo su Tutti i miei demoni e La grande ipnosi, metaforica e visionaria composizione.

A dare complemento all’ opera espressiva della band sono, infine, i ritmi veloci di Non sai niente di me e Carnefice, delicata composizione in grado di raccontare con accortezza e poeticità la realtà sospesa tra finzione e concretezza.

Un disco pertanto da ascoltare (con le cuffie), cercando di dimenticare l’estetica del booklet…