Cosmic Box “LSB”, recensione

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Nati nel 1997, i Cosmic box hanno subito, senza però esserne fagocitati, le ingiurie degli anni: cambi di line up, monicker modificati, linee stilistiche rivisitate e fisiologici mutamenti. Problematiche bilanciate dalla volitività mostrata on stage, attraverso concerti, demo ed Ep di buona prospettiva.

Proprio quell’orizzonte, intravisto con Not better…simply differet, trova oggi un atto di maturazione formale che, a dire il vero, tradisce (parzialmente) il motto degli esordi. Quel “simply different” non sembra palesarsi tout court in questo nuovo full lenght, proprio come dimostrano composizioni armoniche, che inevitabilmente rimandano ad un certo retroterra musicale figlio del fertile passato. La band, pur appartenendo ad un panorama indipendente, sembra ritrovare spezie emulative in band come Feeder, Incubus, Rem e Placebo.

Pur riuscendo nell’ardua impresa di non piegarsi troppo al deja ecu, questo nuovissimo Lbs sembra avvicinarsi a sonorità conosciute e di facile impatto…ma non considerate questa affermazione come una critica, stiamo facendo cronaca e non opinione.

La band estense racconta con carattere il sapore pop rock di 10 brani dal complesso e curato songwriting, che, pur ricadendo talvolta nell’eccesiva durata, mostra una buona mistura tra coerente groove e poetica descrittiva, proprio come dimostra alternative opener dall’approccio popular.

Il disco si palesa come un’opera espressiva basata su di un buona sezione ritmica, che mostra i propri canini in (The story of) Queen Grace e Don’t Move, il cui giro di basso riporta alla mente Simon Gallup. Proprio le sensazioni goth trovano vitalità nell’incontro quasi impercettibilmente new Wave di Just another morning , brano pronto a riversare i propri lineamenti su di un costrutto nu punk.

Se poi la sensazione acustica di All the things you cannot hide manca di profondità espressiva, con la piacevolezza di The daily War si torna ad un più interessate livello espositivo, che trova il suo apogeo con Throught skin and bones. La composizione, infatti, offrendo un semplice pop rock, ben determinato dal pattern di batteria, accentua la naturalezza della linea vocale, impeccabile nei sui piccoli cambi interpretativi, posti al servizio di una traccia interposta tra passaggi rem ed episodi placebo.

Un disco, dunque, che racconta piccole storie cripto veriste, in grado di mostrare non solo un discreto miglioramento stilistico rispetto al recente passato, ma anche un limpido e coerente animo rock, pronto a sinapsi armoniche tra British e protogrunge .