Forklift Elevator “Killer Self”, recensione

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Dopo qualche tempo torno a parlare dei Forklift Elevator, giovane band veneta dedita a sonorità pesanti, in grado di coniugare l’hm golden age con metodiche thrash e nu-metal, qui narrate da sette tracce in cui trovare ombre non sembra così facile.

Ad aprire il disco è un suono distorto, inquieto e ansiogeno, alimentato da un arpeggio oscuro e nereggiante, perfetto incipit di una nuova opera pronta ad urlare il proprio ego attraverso lo screaming iniziatico di Bagger 288, in cui il groove catchy del riff portante accoglie immediatamente le diversificate striature del quintetto, arrivato sotto l’egida della Logic(il)lllogic Records.

La band, dedita ad un suono dalle forti sfumature slayeriane, ridefinendo (con convinzione) reminiscenze thrash (The 8th Sin) confermano la linea espressiva pronta a modellare una sincrasi tra espressività estreme e riuscite impronte armoniche. Un veleggiare sicuro tra brevi guitar solo ed inevitabili headbanging che, pur basando le proprie radici nella metà degli anni’80, riescono ad arrivare all’astante attraverso un suono moderno e pulito, in cui la voce arayana non disdegna alcuni remind verso ruvidità emozionali davvero riuscite.

L’opera, infatti, segna un netto miglioramento rispetto al già ottimo esordio ( Borderline ) mostrando una solida caratura easy con Black hole, e veloci ambientazioni con I executor, metro compositivo che tocca il perfetto climax sonoro per poi chiudere con un piccolo capolavoro heavy: Hidden Side.

Dunque, non ho dubbi nel consigliare questo disco che , se non fossimo così terribilmente esterofili, potremmo definire un piccolo Vulgar dislay of power.