General Stratocuster & The Marshals “Double Trouble”, recensione

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Apologia

Chiedo perdono per il bislacco ed inusuale articolo.

Premessa didascalica

Proprio ieri, facendo ascoltare ad alcuni miei amabili ospiti questo Double Trouble, qualcuno ha affermato candidamente: “Difficile…eh! Si, si… difficile memorizzare questo nome”.
Ascoltando sorpreso quelle poche parole, mi sono reso conto che General Stratocaster and the Marshals, non è certo un nome facile per chi fagocita musica di comodo consumo, ma (al contempo) ho voluto sperare che non lo sia per chi la musica la vive e la ascolta lontana dai 128 kb/s.
Se vivessimo in un mondo in cui la cultura musicale non fosse ormai soffocata dalla tecnologia, sarebbe superfluo definire la Stratocaster (assieme alla Les Paul la chitarra elettrica per antonomasia), come (forse) sarebbe ridondante evidenziare il curioso gioco di parole tra Marshalls e Marshals ( storica casa produttrice di amplificatori e la traduzione sommaria di maresciallo).

Accettazione

Ma così non è.

Bridge

Partendo proprio dal nome scelto dal quintetto, appare lampante la direzione che il combo di abili musicisti, sostenuti dalla Red Cat Promotion, ha voluto trasportare sulle proprie partiture, arrivando a raccontare molto di più di quello che il semplice monicker sembra voler mostrare. Un nome che nascondendo solo velatamente la propria volontà, si immerge in un classic rock nato quasi per caso nella Firenze del 2010, grazie ad una jam session in cui Fabio Fabbri incontra Jacopo Meille, voce dei redivivi Tygers of Pan Tang. Alle reminiscenze NWOBHM, si uniscono le quattro corde provenienti dal Campo Marte di Richard Ursillo e i bandabardoiani Nuto e Fedirico Pacini.

Le canzoni

A dare battesimo alle note di questo full lenght sono le armonie rock’n’blues di Drifter, la cui aria seventies ci riporta a delicati stop and go, costruiti su di una linea vocale vicina a quella del miglior Robert Plant, proprio come accade nella riuscita Push to the limit . Il sapore retrò si rinsalda poi attraverso le note di Cute evil angel, la cui enclave d’oltreoceano anticipa il groove di Double Truble, di certo tra le migliori tracce del platter. La composizione, costruita tra un persistente funky rock e sentori Innocent criminals, va ad intercalare il proprio suono attraverso battute regolari che si trasformano in Pietre rotanti con I just got scared, dalla quale sembra cadere un rigurgito di Pioggia viola. . Le estensioni classiche si mostrano poi con What are you looking for e Time che, assieme a meno riuscite ballad inglobano spazi dobro da cui ripartire.

Chiosa

Così, tra abilità esecutiva e polveri di malinconica nostalgia del passato, ci ritroviamo oggi di fronte ad un disco che non può passare inosservato, nonostante una work art perfettibile. La solidità creativa è sostenuta senza troppi dubbi dalle robuste impalcature sonore, che ci accompagnano verso un rock’n’blues venato talvolta di heavy e talvolta di funky, atte a raccogliere esperienza e passione all’interno delle quali troverete inevitabilmente un infinita serie di parallelismi.