George Michael – Older (1996)

Considerati tutti i dischi che fino ad ora abbiamo infilato nella valigia per recarci sulla nostra immaginaria Isola Deserta, la maggior parte di essi mettono sostanzialmente tutti d’accordo: critica e pubblico.

Esistono tuttavia altri lavori che, per una serie di motivi, non potranno mai piacere ad entrambe le categorie e troveranno sempre in ognuna di esse una parte schierata contro e un’altra di grandi ammiratori. Fra questi album rientra certamente Older, terzo disco in studio di George Michael che uscì il 13 maggio del 1996 dopo un silenzio durato ben sei anni ed interrotto solo dalla partecipazione a due progetti per beneficienza a favore della lotta all’AIDS: 5 Live insieme ai Queen e una manciata di pezzi (fra i quali Too Funky) per la compilation Red, Hot + Dance.

Per capire bene la bellezza e l’importanza di Older nella storia umana ed artistica di Yog (questo il suo soprannome sin dall’infanzia) penso sia necessario chiarire i motivi di un così ampio lasso di tempo, che non fu affatto dovuto ad una pausa di riflessione o ad un deficit creativo, ma alla somma di questioni ben più profonde. Da una parte la lunga lite legale con la casa discografica Sony Music, che ad avviso di Michael era stata incapace di promuovere adeguatamente l’album precedente (Listen without prejudice Vol.1 del 1990), soprattutto negli Stati Uniti. Dall’altra, a quell’intoppo non indifferente, si era aggiunta una vera e propria tragedia personale: la morte di AIDS del suo compagno brasiliano Anselmo Feleppa che lo aveva letteralmente steso.

Una volta risolto il contratto con la potente etichetta, e firmato con la Virgin – nonostante la formale sconfitta in tribunale – George si poté finalmente concentrare di nuovo sulla propria carriera mettendo in musica la sua personalissima elaborazione del lutto che aveva subito. Non è un caso, tanto per cominciare, che la copertina scelta sia tutta nera e il volto serio dell’artista sia illuminato solo a metà, come una sorta di graduale uscita dalle tenebre.

La presenza di Anselmo praticamente domina tutti i pezzi (a parte forse la danzereccia Star People) a cominciare da quello che fu il primo singolo apripista uscito a natale del 1995: Jesus to a child. Il testo di questa ballata da brividi, non è altro che una sorta di ringraziamento per aver avuto la fortuna di poter vivere a fianco alla persona amata, ma nel contempo anche un triste addio che ruota intorno alla consapevolezza che mai sarebbe riuscito a provare lo stesso amore per qualcun altro. A ben vedere anche la splendida Fastlove che ai più distratti sembrava solo una canzone pop che invitava ad una vita sessuale spensierata, in realtà cela una ben più profonda e malinconica incapacità ad impegnarsi nuovamente a livello sentimentale. L’ipnotica Spinning the wheel riguarda il rischio di contrarre la maledetta malattia degli anni 90 e che la comunità gay in qualche modo sembrava dover sopportare come una condanna, mentre la jazzata Move on è ricolma della speranza che forse, un giorno, da tutto quel buio in cui l’autore stava vivendo sarebbe stato possibile uscire per vivere di nuovo una vita felice.

Il disco (a parte la successiva Free, praticamente strumentale) si chiude con la canzone più triste di tutta la carriera di George Michael: la lenta You have been loved che come in un film ritrae l’incontro dell’artista con la mamma di Anselmo proprio sulla tomba del compagno, descrivendone i contrastanti sentimenti (di fede da parte di lei di inconsolabile amarezza da parte di lui) e tuttavia uniti dall’amore comune per la stessa persona.

Da notare che all’epoca dell’uscita di Older il cantante non aveva ancora fatto coming out, quindi tutte queste dettagliate informazioni sull’interpretazione dei vari pezzi furono chiarite da George Michael solo dopo il 1998. Chiudo evidenziando che, a mio modesto avviso, se nella storia della musica si dovesse indicare un album che – vista anche la sua popolarità – più di tutti sia stato fonte di sostegno a qualcuno che abbia perso una persona cara, questo titolo debba essere assegnato a questo disco, certamente il più complesso della carriera trentennale di George Michael.