Howard Shore – The Lord Of The Rings Symphony

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Premessa: un particolare ringraziamento a Marco Taras che, per la sua ottima conoscenza su “Il Signore Degli Anelli” e dintorni, ha contribuito alla realizzazione di questa recensione.

Nel triennio 2001-2003 il mondo del cinema ha conosciuto l’affermarsi di una delle saghe piu importanti di tutta la sua storia: la trilogia de “IL SIGNORE DEGLI ANELLI”. L’opera è ispirata al celebre romanzo fantasy dello scrittore e filologo John Ronald Reuel Tolkien.

Nato in Sudafrica da famiglia di origini britanniche, Tolkien (in particolare dalla madre Mabel) ereditò l’amore per le lingue antiche e la passione per le fiabe e le leggende che,insieme alle vicende e alle varie amicizie personali(vedi C.S.Lewis), composero, in vari anni, i tasselli che poi avrebbero originato il pilastro del genere fantasy. Infatti “IL SIGNORE DEGLI ANELLI” si compone di tre libri: “La compagnia dell’anello” (1954), “Le due torri” (1955), “Il ritorno del re” (1955). I punti di forza di questo filone letterario, nato nell’Ottocento, sono proprio le fiabe, i miti e le creature fantastiche ispirate alla cultura nordica, di cui Tolkien amava scrivere e delineare caratteristiche sin da giovane. Fin dagli anni sessanta, “IL SIGNORE DEGLI ANELLI” si era imposto non solo come un opera di evasione, come si riteneva all’epoca il filone fantasy, ma divenne ben presto un libro cult, nonchè uno dei romanzi più venduti di tutti i tempi per la bellezza della trama e il livello facile di ricezione, nonostante contenga un linguaggio “alto”. L’odierna popolarità dell’opera, la si deve soprattutto alla trasposizione cinematografica iniziata nel 2001 dal regista neozelandese, allora poco conosciuto, Peter Jackson, che ( sfruttando la sua grande conoscenza del romanzo,i paesaggi incontaminati della sua terra ed un cast eccezionale ) potè evocare molto bene lo scontro tra le forze del bene e quelle del male per il potere assoluto nella Terra di Mezzo abitata da creature di ogni genere( uomini, orchi, elfi, nani, hobbit, draghi, ecc.).

Il risultato? Milioni di fans in cerca di gadgets che rievochino i loro beniamini dello schermo; documentari a non finire sullo svolgimento dei film; sul lavoro di Jackson e Tolkien a confronto; sulla riscoperta della Nuova Zelanda; sulle informazioni piu disparate degli attori; la consacrazione per il regista; i premi oscar nel 2004 come miglior film, miglior regista e migliore sceneggiatura non originale.

Non è da sottovalutare, però, un altro motivo del grande successo della trilogia: la componente musicale a opera del compositore canadese Howard Shore che, non a caso, ricevette ben 2 premi Oscar per la migliore colonna sonora nel 2002 e nel 2004.

Finita l’immensa produzione dei tre film, si pensava che fosse terminato il sogno di molti, ma non quello del compositore, il quale decise di condividere, ancora una volta, il suo lavoro con una serie di concerti in tutto il mondo: “The Lord OF The Rings Symphony”, uno spettacolo dal vivo in due parti ( 6 movimenti per orchestra e coro ) che ripercorre l’intera storia fantasy come se fosse una sinfonia vera e propria.

Il maestro canadese giunse a Roma il 26 Giugno all’Auditorium, avvalendosi dell’aiuto dell’orchestra e del coro di voci bianche dell’Accademia di Santa Cecilia e del soprano Ann De Renais. Oltre a questo, sotto richiesta dello stesso Howard Shore, è stato chiesto all’artista Davey Frankel di rielaborare gli storyboard e molti Concept Art per garantire al pubblico una maggiore immedesimazione nell’universo fantasy in completa sincronia con le varie tracce. L’impostazione del palco vedeva come protagonisti assoluti i violinisti che, nascondevano la presenza del pianoforte. Incredibilmente importante anche la presenza degli strumenti a fiato che, in molte occasioni, hanno avuto l’occasione di cimentarsi in sezioni di primo piano per brani come “Concerning Hobbits” che riguardano la spensieratezza presente nella terra degli Hobbit : la Contea. Il coro delle voci bianche era stato messo su un piano sopra il palco, esattamente sotto lo schermo che proiettava le immagini. Ebbero, poi, molto successo tra il pubblico le due arpe dorate e di uno stile molto particolare, presenti alla sinistra del palco.

La prima parte dello spettacolo è stata occupata interamente dai brani del primo film, decisamente i migliori di tutta la composizione, i quali hanno raggiunto il loro massimo grado di bellezza attraverso “The Breaking Of The Fellowship”, il brano finale de “La Compagnia Dell’Anello” che decreta la rottura del gruppo di eroi designati per distruggere l’anello e la difficoltà di Frodo ( il protagonista ) di compiere la scelta di affrontare il viaggio da solo. Nella seconda parte, invece, si è cercato di riassumere il più possibile le tracce salienti dei due restanti film: tra le preferenze ci furono tutte le composizioni riferite alle battaglie e una ricercata attenzione per il tema iniziale; quest’ultimo venne composto per il film in tre modi diversi ( The Prophecy; Foundations Of Stone; A Storm Is Coming ) per dare modo di mettere in risalto non solo la differenza tra i tre capitoli, ma anche del tema principale che nel primo e nel secondo film risulta ben definito, nel terzo, invece, risulta essere l’unione dei primi due.

Di grande pregio è stata la presenza delle due canzoni dei titoli di codi degli ultimi due capitoli della saga: “Gollum’s Song” e “Into The West”, cantate dal soprano e incredibilmente commoventi per le storie che raccontano. La prima è il brano riferito al personaggio schizofrenico nel libro: Gollum, la cui dualità e sofferenza è immessa anche a livello del testo; il secondo parla, invece, di tutti i viaggiatori che attraversano il mare. Non si capisce bene il perchè sia stato omesso il brano di Enya “May It Be”, ovvero il completamento di “In Dreams”, la sezione finale di “The Breaking Of The Fellowship.

“Il Signore Degli Anelli” fu il film che sbalordì tutti. Così anche il libro e la musica, la quale, ancora una volta, sembra emergere maggiormente rispetto alle immagini che una pellicola può regalare.