“La Storia del Rap”, Andrea di Quarto, recensione

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Sin dai tempi dell’università ho sempre avuto un particolare interesse verso i movimenti socio culturali e le cosiddette subculture. Per necessità o piacere, in questi ultimi 20 anni, mi è capitato di leggere molti libri sul Punk, il movimento Skinhead, l’Oi, i Mods, gli HMK e (naturalmente anche sul)la cultura Hip Hop.
Da qualche settimana alla mia personale bibliografia si è aggiunto un piccolo gioiello: La storia del rap edito da Tsunami Edizioni.

L’opera, uscita per la collana Le tempeste, riesce come pochi altri a regalare un viaggio straordinario non solo ai fan del genere, ma anche a chi, affamato di storia della musica, ricerca costantemente il conoscere e l’approfondire. Un vero e proprio itinerario storiografico, completo e tutt’altro che didascalico, in grado di raccontarci un’incredibile numero di vicende portandoci tra gli squilibri psicotici di Suge Knight sino al mondo grottesco mondo di Coolio, passando per la magia germinale dei RUN DMC e i block party di djKool Herc.

Andrea Di Quarto, infatti, spinto da professionalità e passione arriva a narrarci la vera culla dell’Hip Hop americano “dalle origini alle faide del gangsta rap”, ponendo il genere in quel lasso di tempo che dalle antiche origini del 1973 arrivano alle soglie del nuovo millennio.

Il voluminoso libro, ricco di riferimenti, citazioni, incroci, racconti e immagini, riesce a dare una reale connotazione socio-antropologica ad un fenomeno che (un poco come successe con il black metal norvegese) è stato sradicato dalla madrepatria e, trovando terreno fertile in ogni dove, ha finito con il creare (in alcuni casi) mostri deformi, banalità imbarazzante e recitazione “scimmiottesca”, che poco ha a che fare con lo sguardo narrativo da cui l’autore parte attraverso piacevoli rimandi filmici. Proprio da qui si riparte per analizzare e idealizzare l’habitat sociale, da cui il genere nacque a partire da quell’estate del 1973 quando le 6 corsie della Cross Bronx Expressway diede la rabbia, le difficoltà e disagi da cui spesso riescono a nascere buone idee.

Così, tra gang, squallore e conflittualità sociale iniziano i toasting, la voglia di danzare e raccontare attraverso la concettualità del “To rap”, partito da 1520 Sedwick Ave, la Betlemme dell’hip-hop.
Di Quarto ci accompagna con lucidità attraverso l’arte del Mc’ing, del writing, del djing e della breakdance, mostrando con linearità le influenze Funk e R&B degli albori, fino a giugere al pop armonico degli anni 90. Un itinerario ideale per attraversare i quartieri dei mostri sacri (Grandmaster Flash and Africa Bambata) oltre i quali si ritrova la consapevolezza combattiva dei mitologici Public Enemy, alla spensieratezza scansionata dei Beastie Boys, sino alle drammatiche faide tra West and East coast.

Pertanto, il sentiero disegnato dal volume riesce, con assoluta integrità, a definire il percorso tematico, artistico e culturale dell’Hip Hop, da sempre in grado di creare, ricreare, modulare e narrare una voce rabbiosa che dalla straordinarietà espressiva del g-rap arriva ad un edulcorazione attitudinale troppo spesso costruita a tavolino.

Insomma un libro che tutti gli amanti del genere dovrebbero leggere e studiare per (quantomeno) comprendere da dove arrivano (o meglio anelano) i tanti personaggi beceri dei nostri panorami italiani.