Liszt-Beethoven Trascrizione della IX sinfonia

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Eccoci proiettati, per merito dei fratelli Gemmiti, nel mare magnum delle trascrizioni lisztiane.
Liszt compose parafrasi e trascrizioni per tutta la vita: per pianoforte, per pianoforte a quattro mani, per due pianoforti. Si possono enumerare velocemente le parafrasi da opere: dal Don Giovanni, dalla Lucia di Lammermoor, dalla Norma, da Verdi, da Wagner, da Rossini; le trascrizioni delle sinfonie di Beethoven, le trascrizioni dei propri poemi sinfonici e poi la Sinfonia Fantastica di Berlioz … un elenco che, se fosse completo conterebbe almeno centocinquanta titoli!
Ma perché trascrivere? E poi, perché trascrivere proprio Beethoven? Per cominciare diciamoci subito che Liszt non era certo un mediocre compositore che trascrive le opere di altri senza lasciarvi l’impronta potente della propria maestria tecnica. Significativa una frase di Alfred Brendel a proposito delle trascrizioni di Liszt:
“Le trascrizioni sono allora atti di vendetta contro compositori senza difesa, ai quali chi trascrive vuol far pagare lo scotto della propria inferiorità? Non è certo il caso di Liszt…” (Alfred Brendel – Paradosso dell’interprete, Passigli Ed. 1997)
Giocava in tutta questa baraonda di trascrizioni certamente il desiderio di misurarsi con una categoria della musica, la trascrizione, che richiedeva, per essere realizzata a regola d’arte, tecnica raffinatissima e grande sensibilità. Poi forse il desiderio di permettere la divulgazione delle composizioni per orchestra anche al di fuori dei normali circuiti concertistici. Infine, per quanto riguarda le trascrizioni da Beethoven dobbiamo tenere ben presente che per Liszt, questo compositore era uno dei massimi artisti di tutti i tempi (nel booklet si ricorda che Liszt considerava la Nona Sinfonia e la Divina Commedia come i due massimi vertici dell’ingegno umano). In questo caso la trascrizione era forse anche un modo per rendere omaggio al compositore e, perché no, per entrare da specialista nei suoi schemi mentali e logici e rielaborarli… forse il dottor Freud avrebbe trovato qualcosa da dire ….
Comunque, tra tutte le trascrizioni di Liszt, quella per due pianoforti della nona sinfonia di Beethoven, completata nel 1851 e poi seguita da una trascrizione per singolo esecutore nel 1864, occupa uno dei posti più importanti sia per l’efficacia delle soluzioni sonore adottate, sia per la difficoltà di esecuzione, difficoltà avvertibile anche al semplice ascolto “da profano” perché sembra proprio che sia richiesto agli interpreti di pensare come una mente sola in una simbiosi totale di cervelli e strumenti.
Insomma, per eseguire la trascrizione della Nona, viene da pensare che gli interpreti debbano condividere qualcosa di più del semplice mestiere di musicista. Bisogna avere un’affinità di ordine superiore: genetica, per esempio. Ed ecco i fratelli Fabio e Sandro Gemmiti cimentarsi con il “mostro”. Ne nasce una lunga cavalcata pianistica attraverso tutti gli effetti orchestrali immaginabili. Si ascoltano, per oltre un’ora: i violini, gli strumenti a fiato e, cosa ancor più stupefacente, il coro e le voci dei solisti. Tutto fedelmente riportato dallo splendido suono dei due pianoforti. Si prova un’emozione nuova, nel riconoscere attraverso questi suoni, quelli conosciuti e ormai “scontati” della Nona Sinfonia, fino al punto da esserne meravigliati e rapiti.
Certo è impossibile capire quale potesse essere l’impatto di una esecuzione simile all’epoca di Liszt. Oggi si ascolta questo disco e si ha nelle orecchie, il suono dell’orchestra: sarebbe bello potersene dimenticare per qualche ora per cercare di capire, e di carpire, le emozioni di quegli spettatori che, nel 1851, ascoltavano per la prima volta questi suoni dal pianoforte.

Note tecniche: Registrazione di grande presenza: in alcuni momenti si ha la sensazione fisica della discesa del tasto e del martelletto che batte sulle corde. Non so come, ma i tecnici della RS sono riusciti anche nell’impresa di collocare correttamente i pianoforti nello spazio: chiudendo gli occhi è possibile seguire il gioco delle due tastiere per tutto lo svolgersi della composizione. Riverbero molto contenuto, forse proprio per evitare la possibile sensazione di “confusione” insita in una registrazione che immagino assai difficile. Questo cd è stato registrato nell’aprile 2003 nell’Abbazia Cistercense di Calamari (Frosinone).

Maurizio Germani
26 aprile 2004