Luca Francioso – Intervista

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Luca Francioso è un chitarrista fingerstyle, uno dei migliori in Italia, a detta non solo del sottoscritto, che pure non è un vero appassionato del genere, ma piuttosto secondo la critica specializzata ed i molti affezionati che questo tipo di tecnica ha nel nostro paese e nel mondo. Ho l’onore ed il piacere di conoscerlo da quasi vent’anni, di aver condiviso con lui un gruppo musicale, nel periodo in cui nessuno dei due sapeva bene che fare del proprio futuro professionale ed artistico, ed anche delle sessioni di registrazione professionali. Ora Luca vive di musica e scrittura, avendo pubblicato numerosi dischi e libri, ed essendo punto di riferimento per fingerpicking.net, “casa virtuale” per chi studia, ascolta ed ama la “chitarra con le corde pizzicate”.

L’occasione dell’intervista che andrete a leggere, si presenta in concomitanza di un concerto tenuto da Luca a Dolo, paesotto nel centro della Riviera del Brenta, per la presentazione di Gocce di Emozioni – Antologia Rivierasca, una raccolta in cui anche Luca è presente con il racconto Loop. Dopo il concerto si smontano le attrezzature, si lascia il palco e si pensa a mettere le chitarre nelle custodie ed un boccone nello stomaco.

Raccontaci la tua storia.
Non che ci sia molto da raccontare, nel 1996 ho scelto di inseguire il mio sogno e di investirci sopra. Aiutato anche da molte persone che hanno abbracciato quest’idea ho fatto questo salto nel vuoto, ed ho cominciato da lì a raccontare quello che sono usando il linguaggio della musica e della scrittura, anche se la musica è sempre restata in primo piano. A volte l’idea esce e segue il percorso, e le cose che pensavo di scrivere si trovano trasformate in note e viceversa. E la composizione e la scrittura sono delle sfide, ma prima mancora un’urgenza, qualcosa che faccio proprio fatica ad evitare.

Dici che è una scommessa quella che hai fatto, ti senti di averla vinta?
No, mi sento come se stessi ancora giocando. La sfida è giornaliera, una sera penso di aver finito la giornata vincendo, la successiva perdente, ma il mattino successivo si inizia di nuovo a giocare. Anche perchè raramente mi muovo a grandi obiettivi, preferisco i piccoli passi. Il sentiero è molto incerto, c’è molta nebbia e raramente si vede oltre l’orizzonte di “qualche ora”. A volte mi chiedono “chi te lo fa fare? Con una moglie, un figlio…” ma mi sentirei di tradire il loro amore se non percorressi questa strada giorno per giorno. Più che dire “ho vinto” vorrei provare ad essere me stesso in tutte le situazioni e davanti a tutti gli ostacoli, e soprattutto, anche se è difficile con una famiglia, non voglio che le mie scelte dipendano dai soldi, e mi accorgo che con questo approccio, alla fine qualcosa guadagno.

Lo stile fingerpicking o fingerstyle, vuol dire suonare la chitarra acustica con le dita, in pratica, passami la semplificazione, è una trasposizione moderna della chitarra classica. Ma il tuo stile è peculiare perchè si distacca molto dai modelli americani, le influenze blues e bluegrass ci sono, ma c’è anche molta mediterraneità ed armonie molto sospese, che galleggiano. Quali sono le tue influenze?
La musica è lo specchio di ciò che tu sei, a meno che non sia artefatta, e quindi è inevitabile ch la musica descriva quello che sono. Sono una persona molto mediterranea, amante della canzone cantautorale, ma mi piacciono anche le cose poco risolute, ed io misento un personaggio non concluso, definito, e probabilmente quel vagare che tu senti è proprio questo. Ascolto pochi chitarristi, Morone, che è stato anche mio maestro, ma mi piace molto la musica italiana: Baglioni, Venditti, Conte, De Andrè, Fabi, il rock ’70, ed il gruppo che amo di più, i Dave Mathews Band. Ma pur con le mie influenze cerco di non fare l’errore di non ricercare la mia voce, peculiare ed originale. Se non si fa questa ricerca, dopo aver mescolato i vari linguaggi dei tuoi ascolti, diventi una delle tante vittime della musica “copiata”. Devi cercare la tua unicità.

A proposito del concetto di unicità, oggi ci sono eccellenti musicisti relegati nella tribute band per portare a casa la pagnotta da un lato, e dall’altro sempre meno possibilità per musicisti che fanno musica propria di trovare spazi per suonare. Vome la vedi?
Male, malissimo. E’ tristissimo vedere talenti indiscussi, sprecati, che non ricercano la loro unicità, e se non la ricerchi sarai una voce qualsiasi. Si deve investire nella propria unicità. Siamo prigionieri dell’illusione dello stipendio fisso, del cercare di essere tutti uguali, con gli stessi percorsi certi. Ma non siamo tutti uguali, è una bugia, siamo tutti diversi! Puntare sulla differenza, sulla propria originalità, sulla propria unicità, raggiungi lo scopo per cui esisti, sennò è una messa in scena.

Qual’è la situazione del professionismo nel nostro paese?
La situazione è terribile. Nessuno ha l’interesse di promuovere una cosa nuova. Non c’è un interesse, l’obiettivo è cercare e creare consenso, anche a livello di amministrazioni. E mi spiace dirlo. La conclusione è che è difficile vivere di musica, e questo ti mette molto alla prova, perchè se non amassi profondamente quello che faccio, avrei già smesso da un pezzo.

I tuoi concerti sono un racconto, che vanno oltre il lato meramente musicale, ma la tua musica stessa è quasi impressionista, descrive paesaggi, storie, situazioni e personaggi. Dal vivo imbecchi l’ascoltatore introducendo il brano, e lui si fa il suo viaggio. Due parole su questa mia impressione e sul fatto che io credo tu possa essere pronto a scrivere delle colonne sonore.
Io credo che la musica non basti a se stessa. Il linguaggio musicale deve essere contestualizzato, ed io credo con forza che la musica non possa non essere evocativa. Ecco perchè tengo volutamente divisi i due linguaggi, musica e scrittura. Io non riesco a comporre un brano come puro esercizio tecnico, ma devo calarmi in un contesto visivo, e così la scrittura, che deve avere una sua musicalità. Non a caso il cinema è la mia arte preferita (musica esclusa naturalmente) perchè contiene sia il linguaggio visivo che quello sonoro. Ma il cinema ha delle limitazioni perchè è un perimetro. Perimetro, limiti che io non vorrei mettere alla mia musica. Il mio sogno nel cassetto non è tanto fare una colonna sonora, ma un film, non a caso tutti i miei racconti hanno un taglio cinematografico.

Otto dischi più un live, sette libri, un figlio, una moglie, progetti le tue chitarre… dove trovi il tempo per fare tutto questo?
La giornata è vissuta al momento, improvvisando. Il mio è un lavoro senza orari, quindi fondamentalmente non stacchi mai. Ci sono intere settimane in cui io non riesco a dedicarmi ne alla musica ne alla scrittura.

Il tuo non è certo un genere “alla moda”, è forse un genere elitario, ciò nonostante il tuo modo di suonare non lo è affatto. Tecnica sopraffina, composizioni mai banali, ma sempre ascoltabili. Come ti poni di fronte al problema dell’accessibilità?
Non mi pongo mai questo problema. Pur sapendo che la condivisione artistica si compie quando qualcuno ti ascolta o ti legge, vive qualcosa con te, io non mi pongo mai questo come fine. Io sono un amante della canzone, e quindi il mio approccio è molto cantautorale, le canzoni devono suonarmi dentro. In genere i chitarristi di questo genere tendono a suonarsi addosso, io cerco di evitare questo. Credo che semplicemente se sei genuino e ti lasci trasportare da ciò che sei e da quello che scrivi. La musica deve darti la pelle d’oca.

Ma per avere la pelle d’oca ascoltando certa musica è necessario avere una certa cultura musicale. La musica, quindi, deve avere un’etica pedagogica o deve adattarsi agli ascoltatori?
Non si fanno musica ed arte perchè è bello, ma perchè si sente un’urgenza di essere interdipendenti, e la si ascolta per la stessa urgenza. E’ come se io ascoltassi una persona che declama una poesia in inglese, se io non conosco l’inglese difficilmente riuscirei ad emozionarmi. Ma potrei emozionalrmi, pur non capendone la lingua, anche solo per il suono della voce, per come muove le parole. La musica è la stessa cosa, spesso si ha bisogno di un linguaggio comune, a volte, pure in assenza di questo linguaggio, ci si emoziona. Sotto questo punto di vista gli ignoranti (in senso buono ma anche provocatorio n.d.r.) sono più fortunati, perchè non sono incasellati in una forma grammaticale.

Questo è vero, ma l’altra faccia della medaglia è che spesso si ha a che fare non tanto con ignoranti, ma con ascoltatori (male) ammaestrati.
Verisimo. Quello che dici tu prevede una conoscenza “incucchiaiata”. In realtà siamo figli di quello che ascoltiamo. Ma io sono convinto che fare arte abbia un’importanza sociale notevole. Le parole e le note possono cambiare il mondo.

Ultimamente sta succedendo una cosa strana in Italia. Allevi riempie per più serate l’arena di Verona, Bollani e Rava fanno il tutto esaurito, idem per Einaudi. La musica strumentale sta avendo una nuova popolarità. E’ un’illusione o possiamo essere ottimisti? C’è un’evoluzione dell’ascoltatore? C’è una questione di moda?
Difficile rispondere. Le mie possono essere congetture, io ritengo che il talento, prima o poi, paga. Voglio credere che questi artisti stiano raccogliendo quello che hanno seminato con il loro talento e con il loro lavoro. L’idea che la miusica strumentale sia diventata protagonista delle classifiche, per me è un gran conforto. Le critiche che sono state fatte ad Allevi ed Einaudi, soprattutto dai musicisti classici… insomma, questi stanno investendo sulla loro unicità…

E questo aspetto “pop” di questi personaggi, il loro essere diretti, il loro rapporto “rock’n roll” con il pubblico, c’entra con questa nuova accessibilità?
Certo! Le distanze tra musicista e pubblico si accorciano! Ed è inevitabile se sei fino in fondo te stesso. Le distanze si creano se tu crei una barriera tra te ed il tuo pubblico. Suona! Sii te stesso fino in fondo e la gente lo avverte! Vincono l’equilibrio e l’unicità.

Ultimo libro letto ed ultimo disco  acquistato.
Saga di Twilight, e mi è piaciuto moltissimo. L’ultimo CD comperato, quello di Dave Mathews Band, nessuno rimarrà deluso. Ho un disco live degli EST ed il live di Cohen

Un disco che ascolti ancora e di cui ti vergogni.
Non mi vergogno di dire che ascolto Ali e Radici di Eros Ramazzotti.

Cosa pensi della diffusione della musica via Internet?
Per fortuna che c’è la masterizzazione e la diffusione via internet, perchè ti permette una ricerca ampia. Io non ho CD “piratati” a casa, ma compro molto su itunes, che considero un ottimo compromesso.

Ed il “modello Radiohead“?
L’abbiamo fatto anche noi, un mese di offerta libera: 150 downloads e sette offerte. Il problema non è che il CD costa tanto, il problema è che il CD costa. In base a cosa “costa tanto”? Noi spendiamo i soldi male, per cose assurde, non capisco perchè la musica debba essere gratuita, non capisco perchè la musica si può rubare ed altre cose no. Noi come “collettività” non diamo più valore alle cose, se ami una cosa, indipendentemente da quanto costa, tu la comperi.

Io credo che queste tecnologie costringeranno il musicista a vivere dei concerti, facendo del supporto discografico, reale o virtuale, un puro mezzo promozionale. E questo è tanto vero, che ultimamente ciò che costa realmente tanto sono i biglietti dei concerti, il cui costo è almeno raddoppiato (al valore attuale) rispetto al costo del CD. Intendo dire che dieci anni fa comperare un CD od andare a vedere un concerto costava più o meno la stessa cosa, ora un concerto vale quanto due CD o più…

D’accordissimo, ma il problema continua a “spostarsi”… ed il concetto base è sempre quello del “valore”. Quando ho saputo che c’era la Dave Matthews Band a Padova ho pensato: “non mi interessa quanto costa, devo andare”. Non è il prezzo, è il valore che tu dai. Io credo che quando fai qualcosa che ami, vieni ripagato, perchè il pubblico lo capisce e ti premia.

Qualche progetto per il futuro?
Devo concentrarmi su piccole cose, sennò scoppio. Sto gettando le basi per un nuovo CD che uscirà a Natale 2010. Sarà per la prima volta un disco di sola chitarra, senza altri strumenti. C’è l’idea di fare un’opera teatrale tratta da “La Maschera”, poi un romanzo a puntate che sarà pubblicato su fingerpicking.net.

Mi parli delle tue chitarre, alla cui progettazione tu stesso partecipi?
Le chitarre sono artigianali, e sono state un’esigenza figlia del mio puntare sull’unicità. Allora anche chitarre super costose e dettagliate ho preferito farmi costruire degli strumenti che “puzzassero” di legno, di colla, di mano. La prima l’ho fatta costruire dal Maestro Lanaro, su nie specifiche. E’ molto difficile per un musicista far capire ad un liutaio cosa vuole, ma dopo dieci anni di collaborazione le cose funzionano. Altro discorso è la ricerca che abbiamo fatto sull’amplificazione. Questo è stato rischioso, costoso, ma alla fine ho raggiunto un ottimo risultato. Sono molto legato alle sue chitarre. Colombo invece si è offerto di cosrtuirmi uno strumento perchè aveva bisogno di misurarsi e di farsi conoscere, ed ha fatto una chitarra davvero bellissima. Sono ancora molto legato alle chitarre di Lanaro, ma la chitarra di simone è una validissima altrenativa, piccolissima, simile alla “00” di Robert Johnson. Io le altrerno a seconda del mio stato d’animo, non del pezzo. A seconda di come mi sento, in una determinata serata, io imbraccio una chitarra piuttosto che un’altra.

La serata prosegue parlando del Racconto che Luca ha scritto per la raccolta, un bel racconto circolare “alla Dick“, in cui analizza velocemente ma profondamente le difficoltà di chi rischia per affrontare i propri sogni e chi invece si adegua ad un’esistenza solo apparentemente più sicura, ma meno soddisfacente. Non ho parlato del concerto, che è stato, come sempre, coinvolgente, ricco di musica, aneddoti e pathos.

Non è solamente un ottimo musicista da ascoltare, Luca, a volte persino funambolico, non solamente un piacevole conversatore ed intrattenitore, sul palco o davanti ad un paio di birre, è anche un grande comunicatore, sia sotto il profilo artistico che in quello umano. Non perdetevi i suoi concerti, se siete appassionati del genere non potrà deludervi, se non lo siete state sicuri che lo diventerete. Proprio grazie a lui.

Tutte le foto sono di Silvia Pasquetto.