Master of Disaster

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John Hiatt – classe 1952, da Indianapolis – incide dischi da oltre trent’anni ma non ha mai sbancato le classifiche e deve la sua fama soprattutto alle cover di sue canzoni fatte da grossi calibri come Bonnie Raitt ed Eric Clapton. Master of Disaster è il suo 17° album in studio, Hiatt lo ha registrato nel Sud degli USA – nella musicalmente mitica Memphis – con la produzione dell’esperto Jim Dickinson e con il supporto di un gruppo d’eccezione formato da musicisti locali tra cui Luther e Cody Dickinson – figli di Jim e componenti degli ottimi North Mississippi Allstars.

Undici canzoni per 50 minuti di musica in cui dominano il Memphis groove della band e la voce roca e carica di soul di Hiatt: una combinazione sulla carta vincente ma che viceversa dopo l’ascolto lascia più dubbi che soddisfazione.

Le canzoni sono forse il punto debole, non che siano brutte – sono canzoni di John Hiatt! – ma forse sono troppo introspettive e amare quando il mood – l’umore – del disco, le sue sonorità, avrebbero richiesto qualcosa di più roots and southern.

Siamo lontani dalle vette del songwriting di Hiatt – Master of Disaster è lontano anni luce dai picchi di “Bring the family” (1987) – eppure i momenti belli non mancano: la canzone del titolo che apre il disco, l’ambiguamente affascinante fuga sulla highway di “Thunderbird” ma forse il momento migliore del disco è l’ironica “Wintertime blues” buffo resoconto di un uomo che i rigori dell’inverno hanno separato dalla sua bella e che ne aspetta/invoca il ritorno: eccellente il canto di Hiatt magnificamente coadiuvato dalla band.

In definitiva si tratta di un disco che non dispiacerà agli appassionati di John Hiatt ma che certo non è il punto di partenza ideale per chi ancora non lo conosce.