Matrimia! “Zivili”, recensione

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Devo dire la verità…quando ho visto arrivare in redazione Zivili ho temuto di dover entrare nuovamente all’interno di quel mondo apolide della world music, tra ridondanze e soliti arrangiamenti. Così mi sono chiesto come fare per evitare di attorcigliare il naso attorno a quell’albero della soggettività, oramai annoiata da un certo tipo di musica.

Nonostante molte perplessità, convinto del potercela fare, ho affrontato questa ultima fatica dei Matrimia.

Ora, dopo alcuni ascolti, posso dire che, a mio avviso, Zivili non rappresenta quel tipo di musica che nasce solo per chi la ama davvero, anche perché in questa mescolanza di timbriche popolari, folk e swing sono riuscito a moderare senza difficoltà quella fastidiosa dose di soggettività, talvolta inevitabilmente fagocitante.

Ma perché questo lungo ( e forse inutile) incipit? Forse perché sentivo il bisogno di dire ai lettori che questo disco non è fatto solo da chi e per chi ama questo tipo di genere; infatti se attraversato dal giusto piglio Zivili racchiude uno scrigno di sensazioni senza troppi confini. Qui possono approdare sia gli amanti di Bregovic, dello Swing statunitense anni 30 e più semplicemente della musica folk, sia coloro che spinti da semplice curiosità vogliano viaggiare con la mente attraverso un incrocio di sensazioni antiche che, come in un volo pindarico, ci raccontano storie di vita vissuta lontano da qui.

I Matrimia, come si può sospettare dal loro nome arrivano dal centro della Trinacria, da cui partono nel tentativo di metaforizzare la Gorgona attraverso tre angoli musicali apparentemente slegati tra di loro quali il mondo balcanico, quello arabo e quello ebraico. La meta iniziatica è stata definita dalle menti di Daniele Tesauro e Giacomo Di Domenico che oggi, dopo le ultime problematiche di line up, si ritrovano in compagnia del chansonier franco algerino Deglave e di molti altri musicisti capaci di alzare il calice e brindare alla salute del proprio mondo, fatto di danzereccia allegria, diluita da stralci di melanconica pacatezza, tipica delle 13 tracce del full lenght.

Un insieme di raffinata musica d’autore, caratterizzata da arrangiamenti diretti, atti a richiamare il pubblico attraverso l’atto circense di Tourne le monde, da cui inizia a trapelare l’animo francofono del disco, che sin dalla titletrack, offre una mescolanza di spiriti balcanici e arie states 20s. Attraverso il suo incedere strumentale, la traccia ci racconta di un vorticoso giro di idiomi, riportandoci all’Africa francofona con Oublier prima e verso la tradizione di Libes tanntz poi.
Non mancano sensazioni yiddish come dimostra la genuinità cavalcante di Trellohaposervico, né odori meditteranei di Kerta mangae dae, da cui si parte per terre arabiche, tra sussurrii e un buon gioco di immagini sonore. Se poi l’introspettiva flemma di Kshar guilane si trasforma in una desertica e diluita partitura con Tarrasology, è altrettanto vero che molti arrangiamenti jazzati raccolgono briciole di originalità compositiva, orfana però della lingua sicula, che ben sarebbe apparsa al di sotto dell’artwork di Emel Kaya.

Insomma un disco che porta con sé una serie di magiche spezie nascoste sull’orlo del nostro passato, attraverso una musicalità tutt’altro che ostile e che si dimostra capace a sfiorare anche gli animi più gretti e rockettari come il mio.

TRACKLIST
1. Tourne le monde
2. “Živili”
3. Oublier
4. Libes tantz
5. Founduk
6. Kerta mangae dae
7. Akh kwanda
8. Trellohaposervico
9. Kshar guilane
10. Communiquè
11. Jules Bonnot
12. Tarrasology
13. R