Miles Davis, recensione dell’album On the corner.

On the corner cd cover.

Miles Davis il genio della lampada. Miles Davis l’innovatore, sempre e comunque. E On the corner non smentisce queste voci (voci? No, fatti, miei cari!). L’album probabilmente più bistrattato e stroncato della storia del jazz ascoltato a distanza di quasi trent’anni ha un fascino irresistibile. Ritmica durissima, incessante e coinvolgente. Profondamente black. Suoni al limite dell’ipnotico e del surreale. Molti critici dell’epoca l’avevano bollato come un disco arrogante, inutile e offensivo. È vero. Ma, aggiungo io, nelle accezioni positive dei termini. Non so se mi spiego. Di più: i 48 minuti di musica di On the corner non danno spazio, non consentono distrazioni di sorta, ti catturano, ti imbrigliano, ti ipnotizzano. La batteria colpisce duro, senza tregua, non un secondo di calma. Mamma mia, capisco perché i “puristi” del jazz rimasero sconvolti all’epoca, e la presero come offesa alla loro intelligenza. O alla loro ottusità e ristrettezza mentale, che è la stessa cosa. Dinamite pura, ecco cosa è questo disco.

Esplosivo.

On the corner fa parte del periodo post Bitches Brew (il fantastico doppio album di Miles che viene unanimemente riconosciuto come l’inizio della musica fusion); ciò significa sonorità elettriche (tastiere, chitarre, ecc.) e una particolarità: l’utilizzo da parte di Miles Davis del wah-wah per la sua tromba. Il suono che ne esce è graffiante e impertinente. Se cercate della musica morbida e soffice, quel tipo di fusion da piano bar, tanto per intenderci, beh, capitate proprio male.

Cercate in altri lidi. Ma lontani da qui, please.

Insomma, per usare un termine a me molto caro, On the corner è semplicemente politicamente scorretto. Lo era allora, e lo è tutt’oggi.

Ancora una volta Miles Davis se ne è infischiato di tutto e di tutti (pensate che quando uscì il disco si rifiutò di riportare in copertina i nomi dei musicisti impegnati nelle sedute di registrazione, nomi citati invece in questa ristampa) ed è andato per la sua strada. E ha fatto proseliti: provate ad ascoltare i Machine Gun, Marc Ribbot & the Rootless Cosmopolitans, oppure i lavori di Vernor Reid, chitarrista dei Living Colour, e poi ditemi.

Infine la copertina del disco. A me viene da pensare che sia una provocazione per tutti i benpensanti di allora (e di oggi): caleidoscopica, divertente e anarchica. Ovvero l’essenza di Miles Davis.

Personnel:

Miles Davis: trumpet
John McLaughlin: guitar
Colin Walcott: sitar
Chick Corea, Herbie Hancock: keyboard
Michael Henderson: bass
Don Alias: percussion

Jack DeJohnette: drums e molti altri

A presto