Ovunque proteggi

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Per quanto l’attenzione della grande stampa e del grande pubblico sia sempre rivolta alle vecchie glorie del cantautorato Vinicio Capossela negli ultimi quindici anni ha compiuto una crescita artistica che ha pochi pari culminata sei anni fa nell’album “Canzoni a manovella” che per chi scrive è il più importante disco italiano dai tempi di “Creuza de ma” di De Andrè: tanta quindi la curiosità dopo oltre un lustro di silenzio per il ritorno in sala d’incisione di Capossela.

Laddove il disco precedente costituiva lo zenit della parabola caposseliana in quanto copioso di melodia e di belle sonorità, così miscelando in maniera vincente il talento di Vinicio e le sue influenze – Tom Waits in primis – “Ovunque proteggi” è invece disco di suoni arditi e melodie ostiche, perciò fatta eccezione per la canzone del titolo e “Pena del alma” – testo di Vinicio su di un brano tradizionale messicano – questo è un album di ritmi.

Il risulato? Strepitoso!!!

Al primo ascolto spiazza, perché non è quello che ti aspetti da Capossela, ma poi conquista, anzi alla fine proprio i brani – in apparenza – più lontani dal suo stile finiscono per rivelarsi i più forti del disco, quelli che lo caratterizzano: è il caso di “Moskavalza” una batteria elettronica e una chitarra elettrica a ritmo di ompa – danza dell’Europa nordorientale – seguono la voce di Vinicio che si lancia in suoni imprevedibili cantando un testo dove le parole paiono esistere più per il ritmo che per il senso.

Sonorità e ritmi particolari – con la collaborazione in studio di Mauro Pagani – anche per “Brucia troia” mentre spiazza l’intermezzo bandistico di “L’uomo vivo (inno alla gioia)” in realtà però è un brano tipicamente caposseliano – avrebbe figurato bene anche su “Canzoni a manovella” – che ricorda che per quanto Vinicio in questo disco – con “Dove siamo rimasti a terra Nutless” – citi Sergio Leone di fatto la sua vena artistica è decisamente felliniana.

Esaminata l’anima del disco veniamo ai momenti più melodici: la deliziosa serenata messicana “Pena del alma” è un magnifico testo d’amore che Vinicio canta con sentimento e l’arrangiamento – dove spicca il guitarron di Glauco Zuppiroli – è da manuale. La canzone del titolo – “Ovunque proteggi” – chiude l’album ed è una ballata guidata dal piano di Capossela: qui – come già in “Pena del alma” e “Lanterne rosse” – le parole di Vinicio tornano ad essere evocative e a suscitare emozioni.

In definitiva un disco che segue una via nuova senza abbandonare i temi e gli umori che hanno fatto grande questo autore, questo – come detto – può infastidire al primo ascolto, cose che capitano quando un artista non si adagia sugli allori e – per dirla con Vinicio – va “dove ci conducono i prodigi degli insonni”.

Bentornato, Vinicio Capossela!