Paolino Paperino Band “Porcellum”, recensione

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Crowdfunding: processo collaborativo di un gruppo di persone che utilizza il proprio denaro in comune per sostenere gli sforzi di persone ed organizzazioni.

Proprio da qui riparte la Paolino Paperino Band, storico ensemble del punk emiliano di fine anni ’80, che oggi torna a far parlar di sé con Porcellum, 10 tracce inedite e contestualmente pubblicate alla riedizione masterizzata di Pislas, storico album degli esordi. Questa settimana (però) ci occuperemo solo del presente, di un presente che sembra non aver perso l’audace mordente di allora, rinverdendo critiche sociali e surrealismo marcato, definito in percorsi stilistici che raccolgono non solo spiriti Skiantosiani, ma anche intrecci vocal-musicali vicini al mondo di Elio e le sue storie tese.

Il nuovo album, registrato, mixato e masterizzato in totale autoproduzione, è stato finalizzato anche grazie al citato crowdfunding, che, in cambio di disco e t-shirt, ha permesso una sorta di azionariato popolare in linea con la politica D.I.Y. tipica del mondo punk. Ieri come oggi, la band, ricostruita attraverso alcuni dei protagonisti originari, sembra voler restituire ai propri fan il tempo perduto, attraverso composizioni taglienti e prive di inutili fronzoli estetici, rafforzati da strutture minimali, spesso abbracciate ad un linguaggio crudo e particolarmente duro.

Il disco, promosso dalla Fleisch Agency, fresca di web site restyling, appare (ovviamente) spoglia dei solchi vinilici di vent’anni addietro, mostrandosi tecnicamente e tecnologicamente distante dalla sporcizia punk dei primi Demo. Ma, nonostante uno sviluppo digitale, il punk rock dinoccolato e scapestrato del gruppo modenese non perde i riferimenti cardine che i fan della prima ora potrebbero attendersi. Ironia, sarcasmo ed esasperazione linguistica permangono vigili e vitali in un songwriting che, come da attesa, alterna impianti critico-sociali, surrealismo e accenni oltre le righe.

Ad aprire il gran ritorno è il giro di quattro corde di Giornalista, la cui struttura punk ’77 anticipa con i suoi accordi una direzionale narrazione dissacrante e volgare ( Intesa come proprio del volgo), che sfocia nei gesti eccessivi di Referendum. Le venature armoniche di Ciccioli, fondono poi l’autocitazionismo con i backing vocal di Troiaio, la cui folle vocalità in overlay apre la via all’edonistica alla storia di un presunto black block dedito all’apparire, proprio come il geniale personaggio protagonista di Jesus Crust, da cui sembra fuoriuscire una curiosa citazione cartoonistica. Se poi con Passami il sale, la band si lascia andare a deliziosi rigurgiti grind, con il ritmo in levare di Anima del cazzo, si torna ad una coinvolgente semplicità espositiva, che porta allo skacore di Enalotto, disorientante traccia non troppo distante dagli ultimi Persiana Jones.

A chiudere il full lenght è, e non poteva essere altrimenti, una delirante ed “imbriaca” ghost track, la cui anima “caciarona” e danzante convoglia le note in un forzato delirio espressivo libero e liberatorio.