Pearl Jam

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Dopo i nuovi e tortuosi sentieri musicali voluti con produzioni come “Vitalogy” e “No code”, i Pearl Jam tornano all’antico.

Yield come sostiene il chittarrista Stone Gossard è una matura continuazione dell’ album precedente fatto di ritmi più elevati in cui melodia e grinta si alternano sapientemente. Non siamo più di fronte alla brutalità di brani come “Jeremy” o alla grinta di “Alive” e “Deep”, difatti questo quinto lavoro dei ragazzi di Seattle è un album più posato e ragionato rispetto agli esordi del gruppo, un vero team work visto che per la prima volta tutti i membri del gruppo hanno partecipato attivamente, insieme ad Eddie Vedder, alla realizzazione dei brani.

Grande importanza viene data alla lavorazione dei testi, tanto è vero che la confezione digipack, ormai tradizionale per la band, nella versione italiana è completata dalla traduzione delle liriche da parte di Francesca Bonanome, amica personale di Eddi. La motivazione per questa insolita trovata è dovuta al fatto che Vedder durante il suo soggiorno a Roma trovò un libricino con tutte le sue canzoni tradotte in malomodo

“se ciò che avevo scritto” dice ” aveva un senso positivo era interpretato nella testo a fronte in modo sfalsato, non erano più le mie canzoni!”

Yield è però un lavoro molto curato anche dal punto di vista grafico e musicale, prodotto e mixato ancora una volta da Brendan O’Brian. Un cd realizzato in una session di sette mesi intensi, dove i cinque hanno dovuto scegliere 13 brani tra circa una trentina canzoni, praticamente già pronte per la registrazione. Il prodotto finale è, come dicono i Pearl Jam, uno dei loro migliori album, in cui si alternano splendide ballate come “Low Light” a momenti di puro rock and roll come in “Do the Evolution” una delle canzoni più trascinanti dell’intero album, dove le tematiche dell’economia capitalistica e del progresso sono messe sotto accusa.

Da non dimenticare “Wishlist” in cui desideri spontanei e quasi surreali sono accompagnati da una semplice ritmica fatta di soli due accordi portanti, o il singolo “Given to Fly” delicata lirica in cui si racconta la storia di un uomo a cui si da la possibilità di volare e di poter cambiare il suo triste destino. Sicuramente più crude appaiono sia nei suoni sia nelle parole ” Brain of j” che fa riferimento al cervello trafugato e mai ritrovato di Kennedy, “Push me, Pull me” che affronta la tematica della morte e la aggressiva “Faithfull”. Naturalmente non poteva mancare un poco di ecletticità musicale con un brano senza titolo, semplicemente rappresentato da un piccolo bollino rosso, composto dal batterista Jack Irons.

Yield si conclude in modo rasserenante con un messaggio di speranza per chi sta vivendo un passato e un presente difficile, infatti “All those Yesterdays”, che anticipa la ghost track, si chiede se non sia il caso di riposare, di rilassarsi magari ascoltando un bel disco come questo.