Rolling Stones, “Hackney Diamonds”, recensione

Doverose premesse

Va benissimo, i gruppi che hanno una certa età e continuano a fare ogni tanto degli album vanno benissimo, la nostalgia va benissimo e tutto quel che piace senza danneggiare altri va benissimo.
In sintesi -spoiler- la recensione un po’ positiva e un po’ no che leggerete qui sotto sull’episodio 2023 dei Rolling Stones non è dettata da criteri fuori posto, quantomeno non rispetto alle questioni poste sopra.

Ognuno si diverte come vuole, dicevamo, e fa anche un certo piacere un’uscita delle più didascaliche rockstar d’epoca che non sia il settantaquattresimo best of dell’anno sul settantaquattresimo fenomeno pop -rock del passato che tiene famiglia e deve arrotondare. È anzi una buona notizia in assoluto che nella musica da ascoltare ci sia spazio per giovanissimi, giovani, meno giovani e Rolling Stones, anche perché tra l’altro in questi anni difficili le proiezioni pur illusorie verso l’eternità son diciamo pochine, quindi figuriamoci se non ci fa piacere che un Mick Jagger col degno compare non diano al mondo l’ennesima prova di essere, oltre che too young to die, anche not too old to rock and roll (per dirla con gente di un certo calibro).

In questa novità, però, non tutto torna. Non come secondo lo scrivente avrebbe potuto tornare, quantomeno.

Hackney Diamonds – Pros & Cons: cosa ci piace

Partiamo da cose che funzionano: l’album non sforna ovviamente un’idea che sia una.

“Ah, e questi sarebbero i pro?”.

Sì. Spiego.

L’album è un insieme, senz’altro energico e non buttato lì, di cose che chiunque ha sentito da loro oppure altrove più volte. Questo però non è un problema, un po’ perché cercare innovazione negli Stones è come chiedere proteine all’acqua e un po’ perché chi vuole ascoltare loro non ha altro interesse che… ascoltare loro, così come sono sempre stati. Non mollano e pure nel 2023 non tirano fuori un album da vecchietti, non indugiano in autocelebrazioni. Per chi voglia sentire nuove canzoni degli Stones… eccole qui, pronte a non deludere, con voce e chitarra che stanno sempre esattamente dove e come le si desidera desiderando loro.

Hackney Diamonds – Pros & Cons: cosa ci piace meno

Poi però che succede? Succede che a livello di produzione, affidata peraltro ad un nome di successo che è anche un loro grandissimo fan, diverse cose rendono il risultato tra il plasticoso e il deludente.

Il suono, porca miseria. Il suono.

Il suono è già praticamente tutto quando si parla di musica, ma se ascoltiamo i Rolling Stones il suono è un pezzo di loro, è il guanciale nella carbonara, non è che possa esistere qualche variante e se esiste bisogna quasi cambiare nome agli Stones.
Qui la scelta in produzione è stata una malcelata interpretazione molto discutibile del Wall of sound di Spectoriana memoria applicato sui compressori, che traduce ogni brano in un assalto frontale, costante, saturo fino al midollo di tutto quel che viene suonato, come se qualunque cosa avesse lo stesso corpo sonoro.
Ne viene fuori una fatica di ascolto notevole, che oltretutto penalizza canzoni magari semplici ma cariche di una vitalità che poteva essere proposta con immediatezza, restituendo perlomeno la distinzione pulita di voce, chitarre e ritmica, una roba che nel 2023 con un po’ di mestiere si può fare sul divano con un PC… Insomma, un’inspiegabile occasione persa.

I punti di forza mancati, oltretutto, non finiscono qui.

C’è una lista di ospiti da urlo: a colpi di scena di uno per canzone compaiono Stevie Wonder al Rhodes, Elton John al piano, Lady Gaga alla voce, addirittura Paul McCartney al basso… Ci sarebbe da godersi un sacco di roba e invece no, tutto mischiato nel polpettone sonoro, con Elton John che è forse quello a cui va meglio e con tutti gli altri sottoutilizzati per qualità e schiacciati in un mixing (e forse mastering) frustrante.

Per sbagliare, tra l’altro, mica ci fermiamo agli ospiti, eh?

Un brano è cantato da Keith Richards e la sua voce ci viene restituita come fossimo in una registrazione del 1977, che avrebbe al limite pure un senso se tutto il resto fosse in linea. L’intero album, poi, a parte due brani vede Steve Jordan a fare il minimo di quel che potrebbe fare con un suono che non sa di Stones manco un po’; Bill Wyman torna nel gruppo per un pezzo e finisce nel casino complessivo senza alcuna caratterizzazione…

Boh, è complicato sbagliare così tanto in un solo album.

E quindi… e quindi?

Insomma, come si fa a concludere qualcosa di sintetico?

Il capitolo 2023 degli Stones ha un suo perché per nostalgici ma anche una dignità in senso assoluto -se si sa cosa si sta per ascoltare-; certo però che per affossarlo han fatto di tutto…