Rumours (1977) – Fleetwood Mac

In questo periodo di sostanziale penuria di uscite musicali “mainstream” potete immaginare come il sottoscritto si sia letteralmente fiondato per recensire questa ennesima edizione di uno dei dischi che ha letteralmente scritto la storia della musica rock americana e mondiale, vendendo qualcosa come 40 milioni di dischi e oltre. La ghiotta occasione è giustificata, oltre che dalla versione rimasterizzata dell’album originale del 1977, da ulteriori 2 cd contenenti demo e outtakes (non tutto materiale inedito in realtà) delle medesime sessioni, ma soprattutto uno dei concerti che i Fleetwood Mac diedero all’epoca per lanciare l’allora successore dell’omonimo LP (del ’75).

Dopo 35 anni, certamente appare più che lecito chiedersi quale sia il segreto di un così vasto e longevo successo. A mio avviso, a parte ovviamente la oggettiva qualità delle canzoni e la particolarità del gruppo di ritrovarsi in casa ben tre singer -songwriter di altissimo livello, fu la strana alchimia creata dai 5 membri della band a rappresentare la vera svolta. A parte il fondatore e batterista Mick Fleetwood (che stava divorziando da sua moglie), in quel periodo gli altri quattro costituivano ancora due coppie: i coniugi McVie (la cantante e tastierista Christine ed il bassita John) già in fase di sostanziale separazione e le due stelle Stevie Nicks e Lindsey Buckingham, praticamente amanti, ma tutto meno che sentimentalmente stabili. Tutto questo caos emotivo interno lungi dal costituire un ostacolo ai lavori, paradossalmente contribuì a rendere frizzante l’aria in studio di registrazione tanto che lo stesso titolo dell’album di fatto né fu una naturale conseguenza, viste le “chiacchiere” ed il gossip che inevitabilmente cominciavano a regnare sovrani intorno alla band.

Venendo finalmente alla musica, alla fine delle session furono scelte, a causa del limitato spazio sul supporto vinile, 11 pezzi dallo stile, ritmo e mood molto eterogenei, con alcune punte di diamante che resteranno sempre nel dna dei Mac e dei loro concerti. La prima di queste è senza dubbio “Dreams”, scritta e cantata dalla Nicks, e caratterizzata da una sinuosa melodia che ti entra dentro già al primo ascolto e non ti lascia più. Praticamente eterna.

Di Lindsey Buckigham, vero e proprio deus ex machina dei Fleetwood Mac, tre canzoni lasceranno a loro volta il solco nel tempo a cominciare dalla ballata acustica “Never going back again”, che, seppur in soli due minuti e spiccioli, condensa in sé già tutto il talento che il suo autore avrebbe poi espresso nella sua intera carriera, anche solista. Seguono la cavalcata “Go your own way”, che ha accompagnato generazioni di viaggiatori sulle autostrade del globo e “The Chain” dall’andamento tutt’altro che facile, ma decisamente coinvolgente ed estrosa.

Ultima, ma non ultima, Christine McVie contribuisce non poco alle fortune di Rumours con almeno altri tre memorabili pezzi d.o.c. come la lenta ballata da brividi “Songbird”, piano e voce, l’allegro ed andante uptempo di “Don’t stop” (altro tormentone radiofonico evergreen) e l’inossidabile “You make loving fun”.

Nella track list finale, per i motivi sopra ricordati, mancò sorprendentemente all’appello Silver springs che in questa deluxe edition compare invece sia nella forma definitiva che in quella più dilatata. All’epoca l’esclusione del pezzo contribuì ad aumentare le tensioni fra i vari membri ed i motivi sono facilmente desumibili dalla bocca dello stesso produttore Richard Dashut che, al riguardo si espresse così: “la migliore canzone che non entro mai in un album rock”. In pratica non ne fu valutata la bellezza, che era indiscutibilmente superiore a quella, ad esempio, di “Oh Daddy”, ma prevalsero altre logiche. È verosimile che Christine McVie fosse più determinante nelle scelte, in quanto già membro della band con la vecchia line up di Peter Green, ma questa è solo una mia ipotesi e, quindi, lascia il tempo che trova.

Concludo con due righe meramente “commerciali”: chi non ha la versione rimasterizzata di “Rumours” (con disco bonus, anche se con materiale non del tutto coincidente) già uscita qualche anno fa, o addirittura non lo conosce ancora, non attenda un minuto di più ed esca ad acquistarlo oggi stesso. Per tutti gli altri, si tratta solo di capire se valga o meno la pena spendere un piccolo capitale per avere in più una manciata di canzoni live che, pur avendo un indiscutibile valore storico, sono comunque presenti (a parte la citata “Oh Daddy” e “Gold dust woman”) su altri successivi dischi live dei Mac.