Santa Pace – Matteo Toni

cover cd

Paradossale, per una serie di motivi, la scelta di “Santa Pace”, per il titolo di questo disco d’esordio di Matteo Toni. Primo, fra tutti, il mood dell’album che a tutto porta meno che al pensiero della pace, quanto piuttosto dell’esatto contrario. Non aiuta neanche l’inquietante copertina di una vecchia seduta su una poltrona nel buio e tutte quelle palline da tennis sul pavimento ad evocare chissà cosa, ma che di certo risulta poco rasserenante.

Musicalmente, stiamo nel campo di un rock sperimentale e variopinto che, già al primo ascolto, collocherei nell’area Subsonica, vista anche una certa somiglianza del timbro vocale di Toni con quello di Samuel Romano. Quanto ai testi mi limito a definirli semplicemente ermetici, lasciando volentieri all’ascoltatore ogni sforzo per superarne il velo semantico e tentare di trovarne il recondito significato.

Venendo a una panoramica sulle canzoni, le due d’apertura (la prima delle quali dal titolo quantomeno stravagante “Bruce Lee Vs. Kareem Abdul Jabbar”) sono un bel pugno allo stomaco, un po’angosciante, di chitarre dark, a volte distorte e di continui stop and go.

Cambia un po’ registro la title track che si evidenzia per una accoppiata chitarra acustica/ slide guitar che rende il tutto un po’ piacevolmente americano pur avendo in realtà un ritmo tendente al raggae, mentre la composizione mi ricorda vagamente alcuni pezzi di Carmen Consoli. Lo stesso sound viene riproposto nella seguente “I provinciali di nuoto”, il cui ritornello resta una delle cose più melodiche e quindi, visti i miei personalissimi gusti, delle più belle di tutto il disco.

Gusto un po’ estivo, con richiamo perfino ai caraibi, in “Alle quattro del pomeriggio” che viaggia a braccetto con la tanto dolce quanto sghemba ballata di “Alle quattro del mattino” (deve aver ascoltato anche le follie oniriche di Moltheni il nostro Matteo), dilatata da diverse chitarre elettriche (prevalenti) mischiate ancora una volta con le acustiche che in questo episodio fanno più da sfondo. “Fidati” infine è un monologo dalla spirale introspettiva quasi country blues, anche se parlare di generi ben distinti con Toni sembra un azzardo bello e buono e forse la parola Crossover renderebbe meglio l’idea.

Nel complesso “Senza pace” è un disco per chi ama addentrarsi in meno esplorati sentieri acustici, certamente mai banali, ma quasi mai facili da percorrere. Per converso, consiglierei ai fan accaniti di Eros Ramazzotti, o altri idoli da classifica, di starne debitamente alla larga.