Sixty miles ahead “Blank slate”, recensione

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Sono passate poche settimane dal momento in cui i Sixty miles ahead hanno deciso di legarsi alla Red Cat promotion per la campagna informativa del loro primo extended played e sono altresì passati pochi mesi dal momento in cui i germi iniziali dalla band sbocciassero in intenzioni. Infatti il giovanissimo quartetto milanese arriva alla distribuzione delle loro prime cinque tracce dopo pochissimo tempo vissuto dalla linea del principio. Tutto grazie alle idee chiare, al sacrificio e alla musica sotto la pelle. A raccontare le parole graffiate sulla ardesia vuota sono note fondamentalmente legate al mondo hard rock a cavallo tra gli ultimi ottanta e i primi novanta, speziati di un tocco nuovo che non stona ma neppure travolge. Tanto è vero che se la band di Sandro Casari fosse nata nella città degli angeli di qualche lustro addietro, sarebbe stata probabilmente una glam o una hair metal band, visto gli influssi che sorgono dalle tracce di questo esordio, tra riff hard e collegamenti attenti a melodia.

L’inizio del percorso narrativo è affidato all’introduttivo corposo riff di Polite conversation immersa in un old school che trova basi motleycruiane nella sezione ritmica, tra una buona andatura armonica e un’interessante enclave dalla voce filtrata che porta con sé un buon sapore heavy. I medesimi sentori sorgono con Under my skin efficace meltin pot di influssi sonori, grazie ad un potente e preciso lavoro di Fulvio Carlini, che modernizza un apertura classica, capace di fornire interessanti passaggi e cambi di direzione. Con Changes l’enemble ci offre poi un viaggio nel grunge liminare allo Scott Weiland dei primi Pilots, anche se in questo caso la verve dei Sixty miles ahead sembra più attenta a non superare il limite easy di una traccia che convince solo a metà, a differenza del pezzo cardine di tutto l’EP Dance, che grazie ad un attacco Mansoniano, ci riporta alla mente le “Belle persone” raccontate dal reverendo, per poi evolvesi in arie novanta. La voce pulita del frontman infine dovrebbe a mio avviso proiettarsi su orizzonti più sporchi per fuggire da groupie-ballad come la conclusiva Place, che non trova un’ottimale collocazione in un disco che pecca su alcuni volumi, ma che promuove una buona tecnica compositiva ed esecutiva, riuscendo a trafugare buone intuizioni ancora in essere.

Tracklist

1. Polite Conversations
2. Dance
3. Chances
4. Under My Skin
5. A Place