Spiritsongs “Live at Masada”, recensione

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Il Jazz è vivo… e spesso incontra sperimentalismo e improvvisazione per dare luce alla nuova concettualità di jazz core. A dimostrazione dell’ottimo stato di salute della magica forma d’arte nata a cavallo del 1800 ed inizio 1900, vi basterà affacciarvi su Setola di Maiale, interessante (e coraggiosa) label indipendente, pronta a liberarsi dal convenzionale animo sonoro, mediante le note degli Spiritsongs, estemporaneo ensemble incastonato all’interno di uno slim digipack semplice ed elegante.

Un disco dall’impronta d’oltreoceano, in grado di ricondurre la ricercata visionarietà al di fuori del Masada club, in cui il live è stato registrato. Sette tracce definibili come suite liberatorie, ricche di ardite idee posate su spiriti classici e irregolarità sonore, che si palesano tra bass line solitarie e apertura vintage, definendo così un incontro tra il mondo immortale e la voglia di esporsi andando oltre (Snake’s Neck), senza dimenticare armonie d’impatto (Testimony of the heaven).

Il Jazz proposto dall’abile quartetto sembra riversare idee su accorte ombre osservative, proprio come accade in Lord of creation, lunga suite iniziale in cui il sentiero libero ed espressivo sembra dialogare con ricami prog. Un viaggio on stage che, sin dai primi passaggi, si posa sui movimenti free di Alberto N.A. Turra, pronto a conferire profondità ai tasti bianconeri di Brian Marsella, reale valore aggiunto del combo artistico.

Tra i brani più interessanti del live sembra poi emergere, oltre agli stilemi orientali di Tip of the sword, la straordinaria claustrofobia illuminata di The one who roars, struttura sonora angolare ed illusoria, in cui le idee si offrono ad estensioni metaforiche lontane dall’easy listening e per questo portatrici di una rara visionarietà; una perfetta impronta noise che sopravvive con naturalezza all’armonia e all’evoluzione progressiva, mostrando la via di un ipnotico e calamitante sentiero.