Sun King Prisoners of rock, recensione

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Più passa il tempo e più mi rendo conto di come il nostro umore influisce pesantemente sulle nostre percezioni. Quante volte vi sarà capitato di ascoltare un disco nel momento sbagliato e poi, una volta accantonato e ripreso con umoralità differente, avete finito per apprezzarlo?

L’ultima volta mi è capitato con Prisoners of rock dei Sun King.

Infatti, nel tentativo di ricercare l’oggettività nel mio lavoro, reputo utile e necessario un plurimo ascolto dilazionato, proprio per evitare che le sensazioni del momento possano inficiare sulla recensione.

Il primo ascolto del “Re sole” non mi ha convinto più di tanto a differenza di un “poi”, caratterizzato da una stanza vuota, io, una penna, un foglio bianco e una gordon. L’ideale situazione in cui mi sono ritrovato, ha fatto si che ogni nota ed ogni sua sfumatura arrivasse all’inchiostro, consapevole di essere di fronte ad un disco ben arrangiato nel puro e duro rock ad roll.

A battezzare il full lenght, patrocinato dalla UdU records, è Turn on me che, con il suo riff Vanhalleniano ci introduce in un r’n’r interessante, capace di sfociare in un gustoso hard rock di stampo americano, che sembra dovere molto alle sonorità anni ’90. Buoni stilemi solistici e bridge ben saldi compensano un songwriting che meriterebbe un maggior approfondimento in una seconda parte troppo scheletrica e ridondante.
La linea rock continua con Three times rock, che attraverso un riff deja sentì, Perugini e Pettinari dialogano alle sei corde, in maniera semplice e diretta, nonostante invasivi e discutibili controcanti demodè. La retta sonora, pur non essendo figlia dell’originalità, risulta comunque godibile grazie anche ad una modalità di cantato, che sarà apprezzata da coloro i quali risultano avvezzi alla pulizia vocale. Se di limitato rilievo appaiono sia After the night e I rock i roll, di buona fattura sembra essere Your love ideale soundtrack dei Sons of Anarchy, se non fosse per le edulcoranti trovate coristiche che sembrano indebolire la struttura sonica. Ma la quasi perfezione è dietro l’angolo di A Sign, dolce composizione ingemmata dal violino di Lucia Bordi. Una sorta di western ballad, che matura nel suo ottimo groove, per uno dei brani più interessanti di Prisoners of rock. Il disco ospita poi interessanti viaggi nella cupezza mescolata a classicismo e modernismo di un onda rock che con A wave convince con i suo axeliani sentori vocali e con I just want , che travolge per la sua iniziale armonia Lemmy-style e una narrazione recitativa che funge da fine enclave sonora.The dance of darkness con le sue pelli rimbombanti e i suoi riff graffianti ci porta verso il finire del di un debut che si erge dalla media verve rock italica…e come qualcuno ama dire..non ci resta che sostenere la buona musica italiana!

Tracklist:

01. Turn me on
02. Three times rock
03. Your Love
04. A sing
05. After the night
06 I rock i roll
07. A wave
08. I just want
09. The dance of darkness
10. Man of the mountain
11. Hippogriff