The Spanish Donkey “Raoul”, recensione

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Il disco dei The Spanish Donkey ha inizio con il suo lato prettamente estetico. Una cover art straordinaria. Un’opera oscura e nereggiante che con la semplicità di rimandi orientali, ci invita tra le nebbie di un ade luciferino, in cui gli uomini paiono vittime di un dantesco contrappasso.
Aculei e perdizione si presentano come elementi descrittivi di questa nuova release licenziata dalla Rare Noise Records.

A dare vento alle libere note di questo Raoul, sono Joe Morris, James Saft e Mike Pride anime noise di full lenght ricamato da tre lunghe suite, in grado di restituire suoni (dis)armonici, affrancati da ogni tipo di linearità strutturale.

Il disco inizia in maniera distorta, attraverso le parole di una sei corde modulata verso un surreale dialogo, formalizzato con l’istericizzazione dei piatti. Mediante la conversazione sonoro si dipana nell’aria una strutturazione libera e per certi versi definibile come naturale estensione, posta tra l’improvvisazione e l’armonia.

Inattesi picchi espressivi, che vanno a delineare il proprio percorso, tracciano linee noise utilizzando strutture emotive claustrofobiche e plumbee, in grado di accogliere in maniera inquieta, un ascoltatore attento, totalmente immerso in note scomposte, pronte a definire immagini ipnagogiche e visioni poste al centro di ossessiva creatività.

Oscurità inquieta acuita dai cromatismi metodici e ridondanti dell’hammond, perfettamente regolati in overlay , al pari della chitarra di Morris, pronta a viaggiare su ricordi progressivi anni ’60. La traccia ci trascina verso un vortice causale e decadente che con le sue spezie marziali ci conduce verso una chiusura straordinaria, in cui le intenzioni aumentano il disagiato composto da note disturbanti, pronte a restituire una fantasiosa allegoria della cover art. Un angoscia espressiva cha va a rivoltarsi verso gli stilismi più estremi, come dimostrano alcuni vibranti ed espressivi passaggi chitarristici, naturali rimandare ad un (non) lontano mondo black.

Il difetto del disco è di certo l’eccessiva lunghezza, che ostacola il pieno godimento dell’opera, finendo per diluire l’attenzione dell’ascolto, tra i passaggi scarnificati della loro apporto lisergico, ma immaginifici quanto le opere di Barret.

Un flusso di coscienza che non può essere che analizzato nel suo insieme.

Un disco dalla infinite sfumature. Un mondo vivo e difficile da interpretare nei suoi singoli passaggi che sembrano non volere troppe elucubrazioni…quello dei The Spanish Donkey è un mondo di libera improvvisazione.

Tracklist

  1. Raoul
  2. Behavioral Sink
  3. Dragon fly Jones