to pagham and beyond

skinalley

SKIN ALLEY

To Pagham And Beyond

1970 CBS

Quando si parla di musica “nera” viene quasi automatico pensare all’America e alle sue contraddizioni. Quello delle stelle e delle strisce è però il paese dove le tradizioni culturali di origini africane sono state spesso scimmottiate e catturate dall’industria musicale bianca, la quale ha fatto passare alla storia Elvis Presley invece che Chuck Berry, Chet Baker invece che Charlie Parker e decine di gruppi dall’aria accademica invece che Temptations ed Isley Brothers.

Diverso il discorso se applicato all’Europa: le correnti culturali provenienti da fonti afro-americane venivano apprezzate, rispettate e studiate come portatrici di innovazione ed evoluzione. Questa influenza è stata filtrata e personalizzata con classe e stile da molti gruppi, soprattutto in Terra d’Albione. Infatti, se negli Stati Uniti si può parlare di scopiazzatura a livello meramente commerciale, in Gran Bretagna il fermento degli anni 70 ha visto nascere una vasta scena di rock contaminato da jazz, soul e blues: Soft Machine, Nucleus, Atomic Rooster, If, Affinity sono solo alcuni dei nomi più rispettabili di questo filone. Tra quest’ c’è stato un gruppo che vanta l’immenso onore di essere entrato nel novero della più importante etichetta R&B della storia della musica, cioè la Stax: sono gli Skin Alley. Nome forse oscuro a molti, ora come in passato quando i loro dischi passavano quasi inosservati. Nati a fine anni 60 nel pieno delle sperimentazioni progressive d’oltremanica, gli Skin Alley erano formati da musicisti che in parte hanno poi trovato maggior fama “spostandosi” in altri gruppi (come la prima voce Thomas Crimble, passato poi agli Hawkwind) e subendo vari cambi di line-up. Una carriera relativamente breve, composta da quattro album incisi tra il 1969 e il 1973, disgraziatamente dimenticati da pubblico e critica. Ma le ristampe del loro omonimo esordio e del successivo “To Pagham And Beyond” (1970) sono un eccellente pretesto per riscoprire dei capolavori del rock.

Nello specifico, in “To Pagham And Beyond” gli Skin Alley raggiungono la punta della loro creatività e mettono insieme un disco capace non solo di far apprezzare il loro talento come musicisti ma soprattutto di diffondere suoni che distribuiscono nell’aria scosse d’energia.

E’ sulle note del blues che il lavoro ha il suo inizio con “Big Brother Is Watching”, in cui armonica e riff chitarristici lasciano spezio ad intermezzi di piano jazz e di fiati che si sovrappongono alla voce. Sembra quasi voler essere un’introduzione al mix di stili che il gruppo rende propri e fonde alla grande. “Take Me To Your Leader’s Daughter” invece ha la delicatezza della scuola canterburiana sia nel modo di cantare che nell’arrangiamento ma anche nella decisa virata finale verso il jazz, costituita ancora una volta da assoli di piano, qui ben più lunghi e consistenti, tali da far per un attimo pensare di essere all’ascolto dell’Herbie Hancock di fine anni 60. La prepotente entrata in scena del sax infine è la perfetta chiusura per rendere questo pezzo un manifesto della nonchalance con la quale il gruppo manovra il suo talento. Chi invece volesse verificare i motivi diretti per i quali agli Skin Alley sono state aperte le porte della Stax, può trovare conferme e controprove ascoltando “Walking In The Park”, un pezzo R&B con tutti i crismi, dal grandioso arrangiamento e trascinante ritmo, al quale si accompagnano improvvisazioni ai fiati ed alle tastiere, il che lo rende una jam vera e propria assolutamente irresistibile e di magistrale fattura. A questo punto gli animi sono infusi di energia ed a placarli per un attimo arriva l’incipit ecclesiastico di “The Queen Of Bad Intentions”, il cui organo però sfocia ben presto in un veloce blues-rock che mette una volta di più in evidenza la versatilità della band ed un certo spirito verace, da musicisti “genuini”. Spirito che trova un’ulteriore sottolineatura nel groove di “Sweaty Betty”, imperniata su un giro di basso molto funky e su una melodia calda, oscillante tra tendenze soul e R&B ed infuocati assoli di fiati, tastiera e chitarra che si sentirebbero a casa in qualsiasi disco di jazz elettrico dell’epoca (viene in mente, tra i tanti, Jimmy Smith). Finora si è parlato essenzialmente di strumenti, di arrangiamenti e di assoli ma sarebbe profondamente ingiusto non spendere una parola sulla voce di Nick Graham (tra l’altro arrivato nel gruppo proprio in occasione di questo album). Sempre col tono giusto e coinvolgente senza strafare, si può apprezzare al megli con la traccia finale dell’album, “Easy To Lie”. Si tratta infatti di un blues minimalista dal sapore antico e nostalgico, dove viene narrata una commovente storia inizialmente quasi in “acapella” ed è facile farsi rapire dalla voce solista. Il congedo però non poteva essere troppo dimesso e quindi man mano c’è un crescendo strumentale che esplode in un superbo passaggio di improvvisazione jazz che va a chiudere il pezzo e quindi l’album.

Ascoltare “To Pagham And Beyond” non è solo una delizia per i padiglioni auricolari ma anche un modo per vivere l’evoluzione e la personalizzazione di tanti generi musicali i quali a dun certo punto della loro vita, si sono fusi per essere interpretati in tanti modi diversi. Perdersi la visione di tutto ciò data dagli Skin Alley sarebbe un peccato e soprattutto una mancanza difficile da farsi perdonare.