Un quarto di morto+Entact “Split 2010”, recensione

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Ricordo spesso, con tragica nostalgia, il periodo finale degli anni ’80, in cui si viveva in una totale epurazione informatica. In quegli anni il web, diventato oggi parte integrante del nostro io, non era neppure ipotizzabile. Allora il mondo estremo della musica viveva con difficoltà distributive, talvolta, persino riviste specializzate non erano in grado di risolvere la fame di conoscenza. Oggi, al contrario, esiste una dorata saturazione di canali espositivi di ogni genere, che portano con se molti aspetti positivi e qualche limite.

Pertanto, vent’anni fa accadeva spesso di comprare un disco solamente ispiratiti dal fattore estetico…

Chi almeno una volta nella vita non ha comprato un disco a scatola chiusa, solo ispirato dalla beltà della copertina??
A mio avviso, oggi, come nei vividi anni del passato recente, la scelta “a sensazione” è ancora in auge tra gli amanti del vinile, ma probabilmente non in coloro che risultano affetti da bulimia da mp3.

L’occhio vuole la sua parte…e Michel Conti di In Limine lo sa benissimo..tanto è vero che , solo a vedere il lavoro di cover art e packaging di “Split 2010”, viene voglia di acquistarlo. Ma se l’acquisto casuale ha in sé un minimo rischio…in questo caso andreste sul sicuro! Infatti lo split in questione racconta con vivace violenza compositiva e potenziata grezzezza musicale il connubio tra due forze underground del hardcore nostrano, capaci di dividersi due lati di una moneta di valore.

Lato A

Un quarto di morto

Il compito di battezzare lo split è dato da “Mala tempora”, la cui andatura ciclica ed ansiolitica, fornisce all’ascoltatore un buon brano strumentale dell’album, da cui emergono ottimi e virulenti passaggi, generati da una mescolanza ardita tra grind-black e hc. Elementi cardine figli del passato creano attorno a Un quarto morto una potenza vulcanica, che erutta con facilità nella tiratissima “La Guerra dalla parte dei vinti”, tra buoni passaggi compositivi e riff estremizzanti ed inaciditi.

Tra i brani migliori sembrano emergere “Insensato sgomitare” e “Diavolerio”. La prima traccia sembra essere dedita alla rapidità d’esecuzione, posata su rallentamenti atti a ripartenze improvvise, accompagnate dal sapiente e frastornante uso delle pelli. “Diavolerio” ha in sé la forza centrifuga determinata dalla straordinaria linea di cantato, che sembra trovare le proprie cellule germinali in “Dirty Rotten LP” dei D.R.I.

L’ensamble offre in questo primo lato dello split una serie di tracce dal testo ficcante, pungente e tutt’altro che docile, piuttosto attento alla sociatà che ci circonda, al vivere quotidiano e al pensare, esattamente come accade nella filosofica “Il Parto di un Mostro”, in cui, con l’usuale brevità, si narra l’ennesimo romanzo breve. Un dono della sintesi che richiama non solo l’ermetismo italiano ma anche l’arte Haiku.

Lato B

Entact

Nel lato B, gestito dal gruppo di Taranto, le dinamiche realizzative cambiano progredendo verso un punk garage di impatto, fortificato da una roca vocalità coadiuvata, nei momenti liminari, dal back voice in proto growl, tra sviluppi semplici e riff diluiti. Di buon afattura appare “Prega”, in cui chiari passaggi di chitarra si alternano al contraltare gridfusion del chorus, per una traccia poderosa e violenta nel suo intro, mitigato poi in itinere da influssi industrial.

Non mancano poi influenze Heavy, come accade in “Una lapide senza nome”, che sembra un rivisto estratto del primo Steve Harris. Il viaggio nell’arte degli Entact prosegue nelle sonorità di “Requiem pt1”, da cui emergono estremismi post noise vicini, per certi versi, alle guglie musicali dei GSY!BE, sino ad arriva poi con “Nel buio della sorte” alla rabbia vocale sviluppata su di una ragionata, ma non sempre convincente, alternaza di voci, il cui sviluppo appare talvolta come una forzatura rispetto alla composizione