Vito Solfrizzo: esce “La terra dei Re”

Vito Solfrizzo torna in scena con un disco che già dall’immagine di copertina cerca la prosopopea, l’epica lotta tra il bene e il male incarnando un salvatore del rock con questo “mondo” che fa da corona alla cassa della sua chitarra elettrica brandita come fosse un’ascia. Sullo sfondo un cielo che potremmo definire al tramonto, uno skyline del mondo civilizzato e poco altro… si intitola “La terra dei Re” e le eccellenze al potere non sono certo prese dal popolo quotidiano, ma si narra di finte democrazie, caste elitarie, il solito circo di un sistema che vige e governa e fa il bello e il cattivo tempo sul popolo ormai ridotto a termini minimi e discutibili.

Dunque il rock altamente diretto verso suoni metal (soprattutto con questa bellissima sezione di drumming e di cassa in particolare dalla punta spiccata e dalla pancia morbida e ovattata) ci parla di società e di sentimenti, di precariato e di soprusi verso il proletariato. Un’autoproduzione uscita lo scorso 7 giugno che contiene 12 inediti che raramente prendono derive trasgressive ma quando lo fanno sanno catturare l’interesse. E quindi citiamo in tal senso le interessanti organze blues di “Conquiblues” che è proprio nella strofa esprime un netto cambio di direzione verso il registro rock metallurgico made in Italy del resto del disco. Scelte didatti ma sempre vincenti come quel certo suono di chitarra che genera pareti invalicabili e l’Hammond o qualcosa che gli somigli ad arricchire con carattere il tappeto sonoro. La successiva “Mi adatterò” che parte con un momento acustico che fino ad ora mancava al disco e che poi si apre e, tra cori e ribattuti, penso sia il momento di più altro pregio pop dell’intero ascolto. Ed è la successiva “U.R.A. (Utopia Realmente Astratta)” che di nuovo troviamo derive e questa volta tocca alle linee di basso che si presentano metalliche in queste esecuzioni in slap e che – sempre per tornare a soluzioni di cliché – apre il brano in sordina con un giro molto da riders americani per poi aprirsi nel suono come fuoriuscendo da un tunnel medioso e intimista. Il video di lancio è la title track del disco realizzato da BluArtic Studios: altro brano dal chiaro taglio pop dove però forse avrebbe dovuto osare, sia in video che in arrangiamento, per meglio staccare da questo disco la banale etichetta di un pop rock americano all’italiana maniera. Cosa che più spesso dimostra di non essere… soprattutto nella dolcissima chiusa affidata a “Una canzone nel vento”, brano intimo e delicato che si sviluppa in un crescendo che per alcuni timidi tratti ricorda le liriche poeticamente pop dei Dream Theater. Ecco forse uno dei riferimenti di questo rock firmato da Vito Solfrizzo.