Zein “Il viaggio, il futuro e Jolanda”, recensione

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Inizia l’anno nuovo e io peggioro. Sempre più selettivo è sempre più critico verso il mondo pop rock.

Questa volta sotto la mia piccola scure passano gli Zein, band romana, giovane e probabilmente promettente, che inizia ad affacciarsi nel caotico e sovrappopolato mondo discografico del “ tutto e subito”.

Decidere di scrivere di questo Il viaggio, il futuro e Jolanda nasce proprio dalla mia idiosincrasia (demodè) del “tutto e subito”, perché (spoilerandovi il finale di recensione,) posso dirmi convinto della qualità parzialmente celata di questo quartetto, ancora in viaggio verso un futuro in cui sarà necessario cambiare marcia per il riuscire ad arrivare.

Una linea di basso semplice e profonda si scioglie nell’attesa di una pulizia vocale, in cui l’impostazione pseudo cantautoriale sfocia in un semplice indie popular; ossimoro sonoro da cui nascono atmosfere di inizio anni zero. L’incipit di questo piccolo EP, promosso Alka Record, ha un grosso difetto: quello di piacere (probabilmente) solo a chi ama la semplicità del pop-rock; quel rock ammiccante che vorrebbe essere alternativo, ma che in realtà viene fagocitato dalla linearità. Infatti, chi pensa di trovare qualcosa di germinale in questo disco sbaglierà strada, ma attenzione… questo non deve essere letto come una critica semplice e gratuita, perché brani come M’are, pur perfettibili, possiedono un alito compositivo non troppo discosto dall’apprezzatissimo mondo TARM.

Certamente manca ancora profondità armonica, ma la giovane band sa raccontare con semplicità il proprio ego attraverso un diversificato punto di vista ben metaforizzato dai testi obliqui del booklet, da cui emergono idee chiare ed un estetismo piacevolmente accattivante, che si erge anche grazie all’ottimo lavoro di Daniele Kong. Un’occasione speciale che si perde troppo nelle ridondanze e negli incisi, sorretti però da note piacevoli che non disdegnano mescolanze prog.

A chiudere la primordiale onda espressiva degli Zein è infine Questo brivido, in cui la piacevolezza direttiva di Andrea Cincotti segue una mescolanza posta tra Negramaro e Tiromancino, finendo (finalmente) per mostrare uno sguardo più tirato.

Insomma un disco da ascoltare con attenzione, perché, pur tra luci ed ombre, può ambire ad ottenere un buon punto di partenza, a patto di osare e spingere maggiormente sull’acceleratore del coraggio.