Storia di una … (The) Band – Parte nona

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Capitolo IX: Watkins Glen e il ritorno con Dylan

Il 1972 – anno sabbatico per The Band – passò nel dolce far niente di Woodstock: Rick e Richard proseguirono sulla loro cattiva strada, mentre Robbie continuava a giocare con l’idea di comporre qualcosa di più complesso di una canzone, intanto Levon – appena nominato miglior batterista in circolazione dalla prestigiosa rivista Rolling Stone – decideva di frequentare i corsi del Conservatorio di Boston: desiderava colmare le sue lacune di autodidatta.

Di solito l’anno sabbatico serve per fare nuove esperienze che poi si traducono in un nuovo progetto, in rinnovata energia: nulla di tutto questo capitò a The Band. Il ritorno in sala di registrazione – una raccolta di classici del rock che avevano fatto parte del repertorio del gruppo durante gli anni passati con Ronnie Hawkins – non portò nulla di nuovo, alcune scelte del repertorio – come il tema del film “Il terzo uomo” – furono certo peregrine così – a detta dei bene informati – le sedute di registrazione di Moondog Matinee servirono soprattutto a riportare Richard Manuel nel mondo dei vivi.

Moondog Matinee, titolo dell’album, si riferisce al noto programma radiofonico di trent’anni prima che aveva rappresentato il primo punto di contatto tra l’uomo del Sud Levon Helm e i quattro canadesi. Il disco contiene certo momenti felici, nulla di speciale ma rock&roll allo stato puro fatto con piacere e per piacere: ascoltate ad esempio Levon che canta “Ain’t got no home” – un classico scritto e portato al successo da Clarence “Frogman” Henry. Altro brano d’eccezione “Saved” firmato dai leggendari Lieber-Stoller: il testo che narra dei problemi che un uomo ha con la bottiglia è cantato con autobiografica disperazione da Manuel; spicca in questa canzone un assolo al fulmicotone di Robbie Robertson. Il disco è caratterizzato più che mai dall’onnipresenza del mostruoso Garth Hudson che oltre a tastiere e organo sfodera assoli da brivido al sax!

Il 1973 di The Band cominciò ad avere senso durante l’estate con il ritorno delle esibizioni dal vivo, le quali culminarono a fine luglio quando ebbe luogo l’avvenimento noto come Summer Jam at Watkins Glen: oltre 600mila appassionati – molti dei quali accampati in loco già il 27, un giorno prima del concerto – raggiunsero l’autodromo dello stato di New York per assistere a un raduno musicale da Guinness dei Primati – per pubblico presente – che il 28 luglio avrebbe visto alternarsi sul palco la crema del rock americano – in rigoroso ordine alfabetico di apparizione: The Allman Brothers Band, The Band, The Grateful Dead.
L’esibizione di The Band fu interrotta dalla pioggia, ma l’inconveniente diede modo a Garth Hudson di deliziare per mezz’ora il pubblico con l’ennesima invenzione della sua introduzione all’organo di “Chest Fever” ormai nota come “The Genetic Method” (per saperne di più vedi il prossimo capitolo).

Nonostante il successo dal vivo l’attività creativa del gruppo languiva, ma languiva pure quella del vecchio mentore Bob Dylan: in cerca di nuova linfa si ebbe la riunione, segnata prima dall’album in studio “Planet waves” e poi dalla tournée mondiale più grande mai organizzata fino allora che vide The Band dividere il palco e lo show con Dylan. Dylan ricavò davvero nuova energia dall’esperienza e di lì a poco – con gli album “Blood on the tracks” e “Desire” e poi con la “Rolling Thunder Revue” tornò ai suoi massimi splendori. Non così per The Band che mestamente s’incammino verso il suo Ultimo Valzer.