Storia di una … (The) Band – parte seconda

Robbie Robertson e Ronnie Hawkins

Capitolo II: Robbie Robertson

La neonata band di Ronnie Hawkins – presto Ronnie Hawkins & the Hawks – inizia a suonare nel circuito di locali della zona: honky-tonks, ossia bettole e bordelli, così la band è on the road. Levon non ha l’età per certi locali, così tra un numero e l’altro passa le serate nascosto nelle cucine: le retate sono pane quotidiano. Per una band sopravvivere nel circuito del Delta è durissimo, la concorrenza è spietata e visti i luoghi malfamati dove si suona non è certo che a fine serata ti pagheranno, ma gira voce che in Canada ci siano bei soldi da fare, il fratello di George Paulman è stato a suonare lassù con Conway Titty e dice che non c’é nessuna concorrenza e lì il rockabilly è ancora una novità. Così nell’estate del 1958 Levon – terminata la scuola – non guiderà il trattore ma una Chevrolet del ‘55 che porterà il gruppo in Canada, meta l’Ontario e Toronto, la sua capitale.

Essere on the road significa suonare nei bordelli, ma significa anche essere nel circuito, avere ogni giorno l’occasione di andare a veder suonare gente forte che si trova nella tua stessa città: è così che i musicisti di talento rubano il mestiere e arrivano a crearsi uno stile personale, l’ambizione e la competizione sono le molle; Levon queste occasioni non se le lascia sfuggire, siamo nel 1958 e quando ti capita di essere dove suona Bo Diddley – l’unico uomo con un ritmo che porta il suo nome – trovare il tempo di scappare a sentirlo è andare all’università del rock&roll.

Così Ronnie Hawkins inizia ad andare su e giù tra il Canada e il Delta, il viaggio è lungo ed intervallato da ingaggi nei locali delle zone attraversate, il bello del Canada è che i gestori sono seri, ti pagano sempre, ma quando sei on the road, quando passi il confine e torni negli Stati Uniti tocca ricordarsi che quando il gioco si fa duro…

Levon Helm: “Fu durante un ingaggio di una settimana in un club di Tulsa, in Oklahoma, il Canadian Club. L’assegno con cui il proprietario ci pagò era scoperto: eravamo neri di rabbia. Sapevamo che l’uomo non era nuovo a queste cose, giusto un mese prima aveva fregato pure Ray Charles. Io odiavo quel posto, il soffitto era bassissimo sui tamburi, così prendevo dei gran colpi in testa, tutti i batteristi odiavano quel bordello. Quel fetente del proprietario fregava i musicisti sapendo che non avevano i soldi per un avvocato, ma quella volta decidemmo di risolvere la faccenda a modo nostro. Nella notte tornammo al club, dopo la chiusura, entrammo e facemmo a pezzi il locale, poi Ronnie versò sul pavimento 50 litri di benzina, tracciando una scia fino al parcheggio, proprio come vedevamo fare nei film. Beh, io accesi un fiammifero, diedi fuoco e…saltò tutto per aria! La forza dell’esplosione ci fece volare per terra, Ronnie che era vicino alla porta si trovò le ciglia bruciate. Non restava niente del Canadian Club , solo macerie fumanti. Noi eravamo troppo sconvolti per svignarcela in fretta, eravamo ancora là quando arrivarono gli sbirri: ci lasciarono andare! Ci dissero: “diavolo, ragazzi, ci avete fatto un favore. Ora però filate via di qua e non fatevi più vedere.”

Intanto le cose vanno bene, Ronnie Hawkins riesce ad incidere dei dischi, l’interpretazione di “Mary Lou” – un brano di Young Jessie Obie già inciso da Roy Orbison, all’epoca quelle che oggi chiamiamo cover erano pane quotidiano – è un successo: con 750mila copie vendute nell’estate del ’59 arriva al #25 di Billboard. Non sono tutte rose però, dall’Arkansas al Canada la strada è tanta e la lunga assenza da casa pesa, perciò gli Hawks cominciano a subire defezioni in serie: chi ha una donna, chi famiglia, chi – come il chitarrista Fred Carter jr. – è attirato dai soldi che un session-man di valore può fare a Nashville. Levon non ha di questi problemi, la vita on the road gli piace e i soldi gli fanno comodo, l’America rurale sta cambiando e la sua famiglia è in difficoltà.

Sia come sia Ronnie Hawkins – The Hawk o Mr. Dynamo come è ormai noto – decide di puntare sul Canada per il futuro; i discografici vorrebbero trattenerlo perché con Buddy Holly morto e Elvis sotto le armi credono che Ronnie possa essere the next big thing ma Hawkins ha fiuto, sa di non essere un fenomeno, in più sente che la stagione del rock è alla frutta, vede che la classifiche adesso sono dominate da cantanti melodici come Frankie Valli e quindi sceglie il Canada, e da questo momento in avanti per mantenere stabile il gruppo si affiderà a musicisti canadesi.

Fred Carter jr. è un signor chitarrista e in quanto tale – si è già detto – punta a diventare un session-man: Ronnie ha bisogno di un nuovo chitarrista. C’è un ragazzo a Toronto – avrà quindici anni – che si fa vedere spesso intorno alla band, scarica strumenti e amplificazione, porta il caffè e ha sempre con sé una custodia di chitarra, si chiama Robbie Robertson (classe 1943): Hawkins vede che ha talento, come chitarrista è acerbo ma ha già scritto qualche pezzo, fatto che a Hawkins non dispiace perché avere qualche brano originale fa comodo, così The Hawk prende Robertson nel gruppo perché Carter gli insegni il mestiere. Robbie Robertson ne L’Ultimo Valzer immortalerà il suo ingresso negli Hawks ricordando il benvenuto di Hawkins: “di soldi ne guadagnerai pochi, figliolo, ma acchiapperai più fica di Frank Sinatra”.

Robertson è di madre indiana, è cresciuto in città ma passando le estati in riserva, dove ha preso confidenza con la cultura Mohawk ed ha imparato ad amare la musica, è un ragazzo turbolento, anche per questo – nonostante abbia solo sedici anni – sua madre sarà felice di vederlo partire per l’Arkansas. Grazie alla radio Robbie è cresciuto ascoltando la stessa musica di Levon: così quando nel 1959 arriverà in pullman a Fayetteville per unirsi agli Hawks scoprirà il mondo dei suoi sogni, respirerà l’aria e sentirà i suoni da cui nasce la musica che ama.

Nel gennaio del 1960 Hawkins e Levon volano in Inghilterra per una serie di concerti, a differenza che in USA pare che lì il rockabilly non sia ancora morto; Ronnie lascia cento dollari a Robertson per le spese e dice a Fred Carter jr. di dare lezioni al ragazzo, ma Fred teme Robbie, oltre a non dargli lezioni presto comincerà a voltargli le spalle sul palco per non farsi rubare il mestiere. Comunque sia mentre Ronnie e Levon sono in Europa, Fred accompagna Robertson a Memphis: per Robbie quella città è un sogno ed entrare nello storico negozio di dischi House of Blues si rivelerà il modo perfetto per spendere i cento dollari che Ronnie gli ha lasciato. I dischi saranno la sua scuola, si eserciterà quindici ore al gorno cercando di emulare ciò che sente sui dischi di Howlin’ Wolf e degli altri grandi dell’epoca.

Robbie Robertson: “The Hawk mi aveva dato due settimane, al suo ritorno avrei dovuto mostrargli che ero in grado di suonare per lui, così ascoltavo i dischi e cercavo di ripeterne le parti di chitarra, a parte dormire qualche ora non facevo altro, credo che nessuno si sia mai esercitato così intensamente. Certe cose erano difficili da ripetere, faticavo a capire come il chitarrista avesse ottenuto un certo suono, ma alla fine ci riuscivo; fu allora che trovai quel suono particolare che sarà il mio marchio di fabbrica. Ma a dirla tutta, quando poi mi capitò di trovarmi in un club e vidi suonare quegli assi usando una slide mi dissi: ehi, non vale, questo è barare!”