“Eddie deve morire”, Antonio Biggio. Recensione

A Londra, nel quartiere di Hammersmith, gli Iron Maiden si stanno per esibire sul palcoscenico del leggendario Hammersmith Odeon. Forti della pubblicazione di The number of the beast, album che lascerà il segno per molti decenni, la band affronta per la prima volta un tour con Bruce “Air Raid Siren” Dickinson, arrivato nella band per sostituire l’inaffidabilità presunta di Paul Di Anno. Il nuovo album sembra mostrare una reale ed immediata sferzata stilistica anche grazie ad una set list quasi impeccabile, in cui svettano Run to the Hills,  facile ed immediata,  Hallowed be thy name, avvolgente e narrativa, e la straordinarietà della titletrack.

 

 

 

Proprio da quest’ultima sembra voler partire Antonio Biggio, autore di questo originale Eddie deve morire, giungendo a narrare in maniera parallela alcune vicende ambientate proprio in quel ottobre del 1982. Da un lato il lettore si ritroverà ad assistere al ritrovamento del cadavere di Luke Wilkinson e alle indagini dell’ispettore Bridge, dall’altro lato avrà a che fare con una radicata setta religiosa, pronta ad un attacco terroristico proprio ai danni della band di Steve Harris, accusata di satanismo.

Spinto da una buona dose di realtà vissuta, il romanzo dello scrittore ligure ispirandosi a dinamiche narrative non lontane da Donato Carrisi e (negli ultimi sviluppi finali) Dan Brown, ci racconta di un plot avvincente, in cui gli Iron Maiden sono reali protagonisti indiretti, così come le loro canzoni, motore di un thriller dal piglio rapido e bene congeniato.

Pubblicato da Blitos, il romanzo riesce a conquistare, invitando i fan della vergine di ferro a camminare tra le vie oscure di quell’Est end raccontata da Derek Riggs nelle sue prime cover art, scoprendo gradatamente le vicende dei molti personaggi che popolano le pagine del racconto, riuscendo così ad intrecciare il narrato, presentato mediante capitoli brevi e piacevoli citazionismi. Infatti, proprio lungo le 400 pagine svettano i tanti e inusuali rimandi al metal di allora, qui raccontato attraverso le voci di personaggi credibili e ben strutturati.

La lettura, semplice e scorrevole, pertanto, pare restituire un romanzo che può essere in linea con chi ama il genere, ma che deve essere un must per chi (come me) ha amato gli Iron Maiden. Quindi, nell’attesa di una traduzione inglese che possa portare il romanzo oltremanica verso i protagonisti indiscussi del NWOBHM, il mio consiglio è quello ammainare ogni dubbio e, senza aspettarvi un racconto d’essai, farsi trascinare dalla playlist consigliata dall’autore per poter entrare in un’indagine avvincente e per certi versi (scusate l’ossimoro concettuale) pop.