Upanishad, “Reverse Reflection”, recensione

Si chiamano Upanishad, arrivano dall’anno 2000 vestiti di prog, alt e rock, portando sulla pelle il tatuaggio della Red Cat. Viaggiano tra sensazioni lontane, poste tra la complessità e l’accuratezza di un full lenght che potrebbe sorprendere sin dal primo ascolto.

A dare inizio all’itinerario sonoro sono le sfumature del chaos contemporaneo definite con la magnifica linea di basso pronta a delineare la direttrice di Love & will, a mio avviso il miglior brano di una set list avvolgente e credibile. Un mood oscuro e conflittuale che non dimentica spigolose reiterazioni (The cat is in the car) né tantomeno visionarietà (Bad name for a dog). L’eclettico trio, infatti, mostra di possedere la giusta bussola per cambiare direzione in maniera improvvisa, utilizzando idee oniriche (Day dream) e inquiete (Bubble Trap).

L’album, naturale seguito di Crossroad, modula un sentiero narrativo ricco di cromatismi, in perfetto contrasto con i toni bianconeri di un booklet in cui perdersi ascoltando le note fagocitanti di partiture ben costruite. Un equilibrio estetico tra passato e futuro, proprio come dimostra Summoners, altra piccola perla di un mondo da ascoltare nel silenzio dell’oscurità.