Moostroo: prima di tutto c’è “Male” – Intervista
Doppio album per il trio formato da Dulco Mazzoleni, Francesco Pontiggia e Igor Malvestiti. Parliamo dei Moostroo e di questo primo di un doppio disco che troverà il suo compimento a breve. Intanto disponibile nei canali digitali e arricchito anche da carte di tarocchi disegnate da Lucrezia Fontana in arte Aizer, ognuna delle quali si lega a uno dei brani in uscita, esce “Male”: e se il passato di un certo modo alternativo di pensare al rock fa parte del sangue di questo disco, ci piace anche questa voce allegorica che parla di cose quotidiane e di uomini tra gli uomini. Siamo a due passi dall’allegoria di Tim Burton e anche meno dalle visioni che potevamo prendere dalle morali sonore dei Marlene. C’è tanto altro anche e lo si capisce subito da questa bella intervista che segue…
È tempo di “Bene”? A quando il sequel di questo lavoro?
Non si tratta di un doppio disco. L’idea è che ciascuno dei due dischi stia in piedi da solo. Semplicemente sono due dischi in relazione, che si rispecchiano vicendevolmente. Intitolarli “Male” e “Bene” è stato un semplice processo di semplificazione dell’idea sottesa. Idea, per altro, neppure così complessa da comprendere. Trattiamo il rapporto conflittuale e complementare tra la carogna che sale e la tenerezza che abbraccia, tra lo schiaffo e la carezza, tra il male e il bene che albergano nell’umanità. Quando sei malinconico non ascolti canzoni allegre, se ascolti canzoni allegre ti sale la carogna furiosa. Invece le canzoni malinconiche addolciscono l’animo e rincuorano. Dopo la nefasta congiuntura pandemica, iniziare a parlare di male ci sembrava la via maestra per liberarcene. Se avessimo iniziato da “Bene” si sarebbe scatenata la furia che alberga in noi, ci saremmo sentiti raggirati da noi stessi. “Bene” è per metà finito. Le canzoni ci sono già, dobbiamo registrarne quattro. E manca la post-produzione. Vorremmo che uscisse l’anno prossimo. Non c’è una netta distinzione fra il mood di “Male” e quello che sarà “Bene”. L’oscuro e il limpido convivono, il torbido e il cristallino e peraltro si alternano tra loro. Le canzoni sono evocative, cioè chiamano allo scoperto, nella fattispecie chiamano emozioni. Capire se poi queste emozioni abbiano valore di rinascita o di sconfitta per chi le ascolta, è un’interessante indagine che ad ora non possiamo permetterci. Ci siamo limitati a distribuire le canzoni sui due dischi dando ordine al caos, in un gioco di sovrapposizioni di contrasti, consapevoli che ciascuna canzone è già di per sé rappresentazione del conflitto dialettico tra gli opposti.
“Apparenza” sembra davvero provenire dal futuro. Eppure molti pensano che questo disco sia figlio degli anni ’90… come la mettiamo?
Essere troppo didascalici nei video, a partire da testi molto evocativi, ci pare poco efficace. Unendo i due linguaggi, ci interessa provocare chi guarda e ascolta, affinché possa interpretare a seconda del suo mood umorale. È un tentativo di attivare chi ci segue, viviamo in una stagione passivizzante, di intrattenimento, di armi di distrazione di massa, vogliamo schiaffeggiare l’attenzione altrui. Nel video gli sguardi ravvicinano agli stati d’animo: si dice che lo sguardo sia lo specchio dell’anima, no? È la nostra ricerca di empatia, siamo sobillatori degli stati emotivi più inquietanti ma autentici. La comparsa degli astronauti è un simbolo iperbolico di evasione da un mondo attanagliato dall’apparenza, alla ricerca di una quiete che ci faccia ritrovare il baricentro del nostro essere umani, con tutte le nostre naturali fragilità e con tutti i nostri limiti.
Che poi bellissima questa frase: “L’apparenza fa meno male dell’ignoranza”. Direi che è un manifesto politico…
L’ignoranza fa malissimo. Se non sai, hai due possibilità: presupporre arrogantemente o farti pilotare da verità non tue. Le due cose ci fanno ribrezzo. Se sai, ti governi da solo. E come dice il saggio, se sai di non saper un cazzo, sai già qualcosa: o ti compatisci o ti incuriosisci. La seconda ci piace di gran lunga di più e sicuramente è un atto politico nella sua accezione originaria.
Che poi è anche violento in molti aspetti questo disco. Si ricostruisce dalla demolizione di tutto?
La violenza del disco sta nei contenuti perché a ben ascoltare la musicalità espressa in esso non è respingente. Questa scelta rispecchia il gioco dei contrasti che stiamo maneggiando in questi due pubblicazioni (Male e Bene). Dopodiché parrebbe che i saggi sostengano quanto dici: dopo la distruzione non si può fare altro che ricostruire o alla peggio fuggire, ma la fuga non ci interessa. Stiamo al presente, presenti a noi stessi. Scuotiamo le acque torbide per cercare limpidezza. Demolire tutto è un atto comodo, noi tendiamo a demolire ciò che non ci funziona, tenendo il rimanente, e non scordando i residui, perché comunque gli errori sono sempre traccia di un processo, di uno sviluppo.: errare è sì sbagliare ma anche muoversi.
Ho come l’impressione che per la ricostruzione dovremo attendere “Bene”…
Teniamo a specificare che non si tratta di un album doppio, ma di due album in dialogo tra loro. Bene uscirà verosimilmente l’anno prossimo. Stiamo meditando se cambiagli titolo in “Peggio”. Quando una persona si sente malinconica non ascolta canzoni allegre, ti sale la carogna furiosa se ascolti canzoni allegre. Invece le canzoni malinconiche addolciscono l’animo e fanno da ponte verso una nuova luce. Allo stesso modo dopo la nefasta congiuntura pandemica, parlare di male ci sembrava la via maestra per poi arrivare al bene. Iniziare subito da “Bene” avrebbe scatenato la furia che alberga in noi… che tu magari dici: “Ben venga la furia”. Ti ricordiamo che Furia era un cavallo famoso poi andato al macello. Negli ultimi anni abbiamo prodotto un buon numero di canzoni. Ci siamo trovati quindi con in mano un corposo materiale che abbiamo deciso di dividere in due dischi. Trattiamo il rapporto conflittuale e complementare tra la carogna che sale e la tenerezza che abbraccia, tra lo schiaffo e la carezza, tra la bresaola e Furia cavallo del West. I testi di entrambi i dischi evocano il caos interiore in forma di ordine armonico manifesto. Il Caos è la Madre di tutti noi, di tutto l’universo, nato dal rimescolarsi incessante della brodaglia primordiale. Ma è anche impossibilità di comunicare. Nel Caos i significati si mescolano. Da qui l’esigenza di mettere ordine, definire, dare un significato preciso alle cose, in modo che non ci siano dubbi. La razionalità è un sistema che funziona, ma non crea nulla. Per creare, per comporre, per realizzare qualcosa di unico bisogna pescare da questo Caos, farci i conti. È un argomento che da sempre ci fa friggere. Il Caos è originario e l’ordine non è null’altro che un’urgenza umana troppo umana, ma non sempre all’altezza della paradossalità della vita. Aggiungiamo anche che purtroppo oggi pare che la musica debba essere prodotta solo per supporti virtuali. Per ora assecondiamo questa logica: siamo su tutte le piattaforme digitali, ma essendo feticisti, aspiriamo a produrre un vinile che abbia su ciascun lato uno dei due dischi.
E che copertina avrà? Quel bambino sarà divenuto un uomo?
La copertina di “Male” (attuale pubblicazione) è una foto della prima comunione di Franz (bassista e produttore), aveva otto anni, nei suoi occhi c’è tutta la perplessità di un mondo che gli risultava inconsistente, gli sembrava che niente si incastrasse. È una foto che cerca di raccogliere una goccia di umanità, una «goccia di splendore» nel mare crudele e feroce di questo mondo. Tanti nefasti schemi umani sono la risultante di una cultura rigida e coercitiva, moralmente o politicamente. Ci è sembrata la foto perfetta di un’epoca, oggi come allora, di un sentire collettivo. raccogliere attorno chi come noi si sente traviato, travolto, ma non molla niente, tiene duro per non farsi opprimere. Sulla prossima copertina invece, peccato, non possiamo soddisfare questa curiosità, non è l’attesa del piacere essa stessa… Manteniamo un po’ di suspence. Comunque sembrerebbe che noi si sia già uomini e nonostante le copertine, guardarsi piccoli aiuta a capire dove si è arrivati fino ad ora.