Ciosi “Into the wild session”, recensione

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Forse non tutti sanno cosa sia il flatpicking.

Se le mie nozioni post adolescenziali non errano, il flatpicking rappresenta una tradizionale tecnica in cui il plettro (e non le dita come nel più celebre fingerpicking) viaggia tra le note, giungendo a modulare i suoni attraverso singole corde.

Tra i moderni cultori di tale tecnica, oggi (perdonatemi…ma solo oggi) scopro l’arte espressiva di Federico Franciosi, noto ai più con il nom de plume Ciosi.
Il musicista arriva sulle nostre pagine cavalcando le profondità espressive del suo nuovo album acustico: Into the wild session del quale mi sento (senza remore) di dover bocciare immediatamente la scelta del titolo. Nonostante la disorientate idea di battezzare la nuova fatica con un nome che inevitabilmente porta al mondo di Eddie Vedder e Jon Krakauer, Ciosi offre sin dal primo ascolto uno straordinario viaggio alle radici del blues. Radici da cui crescono sentori bluegrass, jazz e folk.

Un omaggio sentito al mondo mai perduto di Thelonius Monk, Doc Watson e Scott Joplin, pronti a rivivere attraverso il suono della 1934 D Mahogany Santa Cruz, dream guitar con cui il musicista vola sospinto da una linea vocale straordinaria. Una vocalità ancient blues in cui graffi e calore definiscono la reale straordinarietà di un vero musicista, in grado di unire il rural blues con armonie e stilemi jazz.

L’emozionale e profonda voce di Ciosi da inizio al disco con la dolcezza evocativa di Beaumon Rag, traccia da viaggio, in cui la tradizione della chitarra acustica si abbraccia al contrabbasso elettrico suonato da Enrico “Larry” Mancini. Un itinerario sonoro vicino ai venti e alle polveri della Route 66, colorata da un piacevole western sound che accoglie la tecnica espressiva e pulita del musicista.

Le dita corrono veloci su l’incipit di Wheeling, (omaggio sentito a David Grier) in grado di restituire la sensazione antica di un piccolo treno di note che attraversa una landa espressiva piacevole, divertita e leggiadra. Un susseguirsi di suoni che abbandonano la parte vocale per poi ritrovarsi nel ritmica blues di Maple Leaf Rag, straordinario traccia in cui le corde vocali regalano emozioni perdute, citazionismi e graffi lineari, pronti a restituire all’ascoltatore una tra le composizioni più interessanti. Un’esecuzione libera ed impeccabile che ci ammalia e conquista, passando attraverso la leggiadria strumentale di Sitting On The Top Of The World e Sliding Delta, track giocosa, al servizio di un’osservativa serenità che tanto ricorda l’espressività di Eric Clapton. Attraversando le note anni’50 di Blue Monk arriviamo poi al battito jazz di Chesapeake Bay, in cui le spatole toccano l’animo, giocando e divertendosi ad attraversare il sound di Massimo Varini.

Lo straordinario rumore delle dita sulle corde sembra infine raccontarci molto di più di ciò che appare ad un primo approccio, arrivando a percepire la dedizione e l’osservanza di Ciosi che, nonostante una perfettibile produzione, giunge a chiudere il disco con la bellezza interpretativa di You Are My Sunshine che, allontanandosi dal reggae di Papa Winnie, da sola vale il prezzo del biglietto di un disco che, registrato in presa diretta, riesce a donare un’impeccabile serenità emotiva in cui perdersi osservando un mondo che non si osserva più.