D-Drop “D-Drop”, recensione

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Spesso decido se recensire un disco dopo l’ascolto di pochi frammenti sonori.
Così è capitato per questo nuovo esordio targato (R)esisto…
Ho deciso per il sì, perché da sempre ho avuto l’istinto ad avvicinarmi a produzioni come Indians e Born dead, avendo in me una particolare attrazione nei confronti di Metal HC Rap, tanto è vero che all’inizio degli anni 2000 mi sono ritrovato nella trappola dei One Minute Silence e Sx-10.
Pertanto, anche se questo D-Drop sembra virare fortemente verso quel rap italiano che non riesco proprio a farmi piacere (salvo pochi prodotti di un mare inutile), mi ha conquistato grazie ad un “intimo massacro” sonoro che, sin dal primo ascolto, giunge a raccontare un incrocio di stili ben bilanciato è strutturato. Un viatico tra Nu-Metal e Rap, in cui riffing, campionamenti e barre definiscono le direzioni da seguire.

Così, tra rabbia, cinismo e reazione il quartetto viaggia attraverso riuscite sonorità atmosferiche, venate da un’elettronica gentile, pronta ad aprire la porta ad un target più esteso di quello che si può pensare.

Consapevole che il disco abbia come riferimento la fascia post adolescenziale (ascoltate Red e Disagio), il disco potrebbe aprire uno spiraglio di interesse lontano dal banale rap italiano… che ultimamente non fa che sfornare prodotti a dir poco imbarazzanti. A raccontare riusciti brani come New World e Carne cruda (una delle mie tracce predilette) sono atmosfere inquiete, in cui i flow di Allen Accorsi si mostrano impeccabili nel gestire un andamento rappato, qui intarsiato di heavy e striature electro.

A chiudere il disco è infine il minimalismo (ahimé infarcito da slang contemporaneo) di New Balance, chiusura di un full lenght da ascoltare senza pregiudizi, seguendo la narrazione attuale di testi resi vivi dall’ottima strutturazione ermetica del booklet.

Non fermatevi, quindi, all’apparenza: prima ascoltate e poi semmai giudicate.