Jowjo “Out of the window into the house “, recensione

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Il fatto che a promuovere questa debut release di Jowjo sia la Riff records, a mio avviso, può essere già di per sé un chiaro segnale. Chi mastica indie avrà senza dubbio la certezza di andare incontro ad un disco di qualità. Quindi, almeno per il sottoscritto, è stato alquanto facile immergermi nel bianco mare di quel mondo fuori dalla finestra, perdendomi tra le note strumentali composte da Sergio Carlini, anima in riposo dei Three Second Kiss.

Il musicista italiano si nasconde dietro ad un moniker cacofonico e al contempo onomatopeico, proponendo 10 tracce che raccontano, senza l’ausilio della parola, percezioni e sentimenti ofuscati dalle proprie sensazioni, come se immerse in un creato onirico. Il disco offre una serie di interessanti cameo che in maniera silente, donano note aggiuntive alla partitura; infatti, tra gli ospiti di questo Out of the window into the house ritroviamo Stefano Pilia, Giovanni Fiderio, Paolo Locca e Julien Fernandez. Un compendio di sinapsi artistiche che si allontanano radicalmente dal meta rock a cui Carlini ci aveva abituato, per avvicinarci a un post ambient interposto tra intimismo e contenuta sperimentazione.

Per entrare nelle acque della musicalità di Jowjo bastano le prime poche note iniziatiche, capaci di dislocarci oltreoceano, grazie alle caratterizzanti immagini che trapelano dalle note della chitarra, reale protagonista del disco. Infatti proprio grazie ad un poliedrico impiego della sei corde, l’artista va a creare un sottile fil rouge, attraverso coriandoli di note dalle sensazioni filmiche. Sonorità che per certi versi ci danno le indicazioni per un viaggio on the road a palpebre serrate, per ricreare un immaginifico coast to coast, tra lande desolate, coyote dispersi e geyser inquieti.
Un disco che offre tra i suoi solchi arpeggi e fingerpick in altcountry style, da cui si evolve un sapiente utilizzo d’archi atto ad una drammaturgia narrativa che coinvolge l’anima folk ambient in un itinerario osservativo, in cui le note si raccontano, si distorcono, si allontanano e si ritrovano in movimenti free, che lambiscono una sonorità vicina a Giacomo Fiore prima e ad un controllato rumorismo di chiusura poi, attraverso le onde sonore che confluiscono in quelle increspature su cui la nave dell’onirica cover art si appoggia.