Leonardo Angelucci “Contemporaneamente”,recensione

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Volutamente brutta oppure solo involontariamente brutta?
Guardando la cover art di Contemporaneamente di Leonardo Angelucci il dubbio mi rimane e non nascondo il mio fastidio nel dover accettare un disco piacevole avvolto da una work art pessima.

Mi rendo conto che iniziare una recensione a gamba tesa non è l’ideale, ma se avrete la pazienza di proseguire nell’analisi, vi renderete conto di come questo nuovo disco promosso da Alka Records rappresenti una piccola perla cantautoriale. Ma attenzione, non legata al classico movimento esteta e nobile della scuola genovese, ma un percorso artistico in grado di giocare con ironia e arguzia.
Ma partiamo dall’inizio.

Leonardo Angelucci nasce a Roma nel 1991 con le note pronte a scorre tra i suoi globuli rossi. Un giovane intraprendente in grado di mostrare con convinzione idee trasversali e metodiche classiche applicate ad impostazioni contemporanee. Dopo l’esordio di Nightbus con i Black Butterfly, Leonardo ha deciso (a ragion veduta) di affrontare un sentiero parallelo a quello di Lateral Blast, palesando una conclamata poliedricità espressiva in cui il riuscito songwriting si affianca a cambi stilistici e direzioni differenziate.

Infatti proprio dalla selezionata tracklist dell’EP, l’autore romano riesce a definire i limiti liberi da intuizioni musicali e stilistici, che trovano (senza dubbio) il proprio vertice espressivo tra le sonorità allegre della titletrack, ironica e giocosa traccia pronta ad entrar immediatamente in noi attraverso un ritmo facile e perfetto nel suo narrato, pronto a far sorridere e pensare. L’ottimo incipit è però definito dalle armonie facili di Calamite,in cui l’impronta pseudo acustica si unisce ad un pop cantautorale in grado di modulare il proprio ego attraverso passaggi espressivi chiusi tra bass line e sei corde.

Probabilmente meno riuscita è invece la semplicistica Capigliatura, divertita autoironia che (ahimè) non trova il giusto habitat, nonostante piacevoli rimandi Rino Gaetano. Più convincente invece appare la struttura di Capolavoro, figlia malinconica di un verbo folk. Una composizione accogliente che restituisce la voglia di ascoltare e danzare sotto il palco da cui nasce l’intuizione stilistica di Cretaceo Superiore, delineata da toniche e flow ben assestati.

Insomma…un ottimo Ep dalla pessima copertina.