The Red Hot Chili Peppers – Blood Sugar Sex Magik

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Moltissimi sono i casi di gruppi musicali che devono molto o tutto il proprio successo ad un “suono”. Oh sisisì, bands composte da musicisti talentuosi, ottimi compositori, animali da palcoscenico, a volte (purtroppo…) faccine carine e fisici mozzafiato… ma nulla nel mondo della musica moderna (1) ha più potere deflagrante dell’accoppiata ottimi musicisti-suono. Ovvero: suonatore-PRODUTTORE.
Qualche esempio? Sono talmente tanti che mi verrebbe voglia di spedirvi su Wikipedia a cercare due o tre dei vostri dischi preferiti per vedere chi ne sia il produttore, e rendergli giusto merito. Farò solamente qualche nome… Brian Eno con gli U2, Phil Spector con i Beatles (e con i successivi quarant’anni e più di musica… purtroppo?) Ross Robinson e i Korn, Rick Rubin e i Red Hot Chili Peppers.

Rubin è noto per aver rivoluzionato il mondo dell’hip hop producendo, per la Def Jam, dischi epocali come License to Ill dei Beastie Boys, Raising Hell dei Run DMC e Yo! Bum rush the Show dei Public Enemy. La rivoluzione stava in due distinti punti: per cominciare un bianco produceva musica nera fatta da neri oltranzisti e tutt’altro amichevoli coi bianchi in generale (vedi P.E.) e per finire il suddetto bianco inseriva in un genere musicale assolutamente nero come la pece il rock, ma non un rock Hendrixiano, con radici saldamente fissate nel blues, qui stiamo parlando di Heavy Metal!

Ora, miei cari lettori, vi chiederete se questo scritto sia la recensione di un disco o una elegiaca agiografia di Mr. Rubin… beh, lasciatemi continuare il mio racconto!

I più credono che, essendo Blood Sugar Sex Magik il primo disco di reale debordante successo, che i Red Hot fossero molto giovani nel 1991, durante la realizzazione dell’album, in realtà erano tutti più o meno sulla trenrina. Rubin fu assoldato per la realizzazione dell’album dopo aver realizzato lavori di Slayer, Trouble, Danzig, che nulla avevano a che fare con il funk che avrebbe intriso l’album. Suggerì “con forza” ai quattro di passare tutto il tempo della registrazione dentro una grande casa di Hollywood, (le fasi della registrazione dell’album sono documentate nell’Home Video Funky Monks, interessantissimo sia per i fans che, a mio parere, per gli addetti ai lavori e gli audiofili), condividendo sia le sessioni di registrazione, sia le vicissitudini quotidiane.
Anthony Kiedis (voce), John Frusciante (chitarra e voce) e Flea (basso e tromba) accettarono, mentre Chad Smith (batteria) faceva spola tra studio e casa per passavi la notte. L’effetto della convivenza forzata, dei grandi saloni di quella casa, e della voglia di sperimentare nuovi generi di Rick Rubin si sente sin dai primi secondi.

La prima canzone Power of Equality si presenta come una travolgente dichiarazione d’intenti: funk e rock sapientemente mischiati. Il funk è rivisto in praticamente tutte le sue sfumature, il basso alla Bootsy Collins, evoluto con popping e slapping, e la chitarra che ripete ossessivi riff tanto cari a James Brown. Ma è innegabile che, compositivamente, il disco non si fermi a questo. Il funk è sicuramente rivisitato, utilizzando strutture più varie, compositivamente complesse, con armonie aperte e non cadendo nelle ripetitive sequenze di accordi che caratterizzano la produzione del funk più canonico (Parliament, Funkadelic e, appunto James Brown).

Frusciante non è un virtuoso dello strumento, non nel senso canonico del termine, non come lo è Flea, o lo stesso Chad. Frusciante deriva direttamente da quella scuola di musicisti che non non è andata a scuola ma ha fatto scuola. Mai una nota fuori posto, mai un assolo esagerato, mai un accordo troppo semplice quando c’è molto spazio da coprire, né dissonanze esagerate quando l’atmosfera deve rimanere tranquilla. Un lavoro sopraffino. Degli altri si può dire la stessa cosa, ma Flea e Chad Smith vanno analizzati in tandem. Una sezione ritmica da far paura, una tensione ed una precisione assolute nei pezzi più tirati, che a volte si sorreggono SOLAMENTE su basso e batteria (Suck my kiss e Give it away su tutte) con piccoli, leggeri inserti di chitarra. Anthony Kiedis è tutt’altro che un ottimo cantante, ma i suoi testi sono esaltanti, così infarciti di sesso, storielle divertenti ed incitazioni al divertimento, e pure dolci e sognanti quando si parla di eroina o di amori che finiscono, come in Under the Bridge e Breaking the girl.

“Ma come?” diranno i miei affezionati lettori “Tutto il pistolotto iniziale si Rick Rubin?” E adesso ci arrivo! Dal punto di vista della registrazione, questo disco è quanto di più incredibile io abbia ascoltato nella storia del rock registrato. Sono convintissimo che molti audiofili più esperti di me mi contraddiranno, ma io sono fermamente convinto che non vi siano molti prodotti all’altezza di questo disco in giro. La parola che mi viene in mente è ARIA. C’è moltissima aria attorno agli strumenti, e questo non è evidente solo quando gli strumenti sono pochi, (basso e batteria soli) ma è chiarissimo anche nei momenti più pieni. Avevamo citato Phil Spector? Beh questo disco va assolutamente contro i canoni del suo Wall of Sound, qui ci sono buchi sonori dappertutto, e sono esaltanti, eccitanti, rilassanti. La voce è voce, le chitarre sono chitarre, la batteria è potente ed esce poderosa ma non invadente dal tutto. Ho il sospetto, in parte confermato dalla visione del sopracitato Home Video Funky Monks, che non siano stati usati effetti elettronici per i riverberi, ma solamente quelli naturali dei muri della grande villa di Hollywood in cui il disco è stato registrato.

Il disco si conclude, dopo tanto funk e rock, con il tributo ad uno dei padri (forse IL padre) del blues chitarristico. Il quartetto rende omaggio a Robert Johnson con una cover di They’re Red Hot, rivisitazione che onora il maestro, dà ulteriore lustro agli esecutori, impone ai nostri polpacci di muoversi ancora.

I Red Hot venderanno anche di più con alcuni dei dischi seguenti, ma non toccheranno più le vette di ispirazione raggiunte con Blood Sugar Sex Magic. Che dire… già il titolo è gioia per i sensi…

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(1) Ho parlato di MUSICA, non di plastica…